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megabizzo
Account eliminato
Sulfuree plaghe ove divina maestà ha scagliato
le ignominiose genti use a considerar le donne
strumento di piacer fugace, lungamente ho vagato

fra le vostre ascose coste anelando quelle colonne
che in terra ignota doveano menar l’anima mia
a ricongiungersi co’ le mortali spoglie. Come Aronne

tuttavia non m’è dato goder della somma epifania
dell’ineffabile sostanza da cui tutto promana
e solo son destinato a testimoniar della genìa

che suo impegno e suo denaro spese nell’insana
ricerca d’una copula mercenaria. Grama incombenza
quella di porre su vile carta quanto la sovrumana

potestà ha creato nel solo istante in cui sua scienza
ha inteso e voluto che fosse, ma non v’è spasso
che valga quell’eterno strazio che mia insipienza

in miserrima parte può mostrare. Simile al masso
che in mezzo all’alto mare mostra ‘l periglio
al navigante accorto possano gettar sconquasso

le mie parole nel bastimento che lungo il ciglio
della perdizione insolente naviga col suo carico
di costernazioni future. Con malcelato cipiglio

stetti a riguardare le orride sevizie e ‘l rammarico
sui volti sfigurati dal dolore che con mio sdegno
intravedevo, d’ogni umana comprensione scarico.

In quel pelago di ineguagliate sofferenze pregno
mi venne incontro un forsennato da cui scaturì
un rivolo di mugolii che a sommi tratti disegno:

“venni ad abitare fra le oscure bolge quando finì
il mio tempo e quasi non mi accorsi di esser stato
precipitato fra i maledetti puttanieri che notte e dì

dileggiavo senza ritegno. Oggi mansueto e grato
al sommo creator della mia sorte vago ramingo
e solo fra infinite genti, lieto tuttavia dell’insperato

dono di non subire strazio alcuno. Talvolta arringo
le infere schiere a somministrar maggiori pene,
talvolta sosto beatamente assorto e col pensier mi fingo

di comandare la divina vendetta e guidar le scene
di supplizio ch’ho innanzi. Ahimé, né i dannati
sembrano avvertire mia triste presenza né viene

dai loro persecutori cenno di risposta ai latrati
con cui li esorto ad operare con instancabile lena.
In verità per tutti loro, biechi aguzzini e malnati

consumatori di sesso a pagamento, la mia piena
figura è trasparente come chiara acqua di sorgente,
la mia possanza è impalpabile come la serena

e ariosa brezza del mattino poiché non ho niente
a che spartire con tutti loro proprio come in vita
non ebbi mai a condividere cosa alcuna che sapiente

ingegno potesse giudicar degno di ascoltare”. Irretita
la mia attenzione con tali motti, subito ebbi a scordare
quando ascoltato da Ferdinand771 cosicché la trita

sua esistenza cadde nell’oblio come goccia nel mare.
Altri sofferenti fermarono allora ‘l mio passo di traverso
ponendosi fra me e la vasta distesa di plaghe amare

che un solo sguardo era incapace di abbracciare. Perso
fra mille altri esseri sbandati venne a me il nano
Gimli com’io riconobbi dalle sue parole: “dell’universo

femminile volli conoscer tutto sino a praticare l’insano
hobby del puntersimo e dilapidai più d’un patrimonio
senza trovar quasi soddisfazione e nel tentativo vano

di coniugar avvenenza e prestazione. Ora un demonio
mi segue da presso ma non s’abbandona sulla carcassa
che di me rimane con percosse: pago il fio del mercimonio

con la sola sua compagnia e la sua voce, cupa e bassa,
che all’orecchio perennemente mi ripete di quella volta
che non seppi far distinzione fra una rossa vajassa

di strada e l’avventrice di un bar”. Com’ebbi raccolta
la sua confessione presi la via che a colpo d’occhio
risaliva il pendio erboso sulla mia destra, di folta

vegetazione coperto sino all’altezza del ginocchio.
A mezza costa sentii una vocina flebile di rincalzo
venir da sotto i piedi miei. Come agile ranocchio

sfugge all’agguato della serpe d’un sol rapido balzo
così feci io uno scatto repentino temendo di calcare
le spoglie d’un altro peccatore. Simile a scalzo

penitente che s’appressa alla sua meta volli cercare
con cautela ove venia quel suono ma con decisione
maggiore udii ripetermi: “fatti discosto e non frugare

oltre fra queste frasche, o attirerai loro attenzione”.
Il terreno prese a vibrare fortemente come se ‘l mondo
di sotto fosse scosso da uno spasimo d’indignazione

e volesse rigettar con quel fremito l’iracondo
figuro che m’avea ammonito. Un’orda scalpitante
di diavolacci mi fu subito addosso girando in tondo

con le cavalcature loro smilze e ansimanti. Sbraitante
di rabbia smontò da cavallo quei che parea comandare
la torma, con rapidi cenni indirizzando poco distante

le sue truppe. Alcuni secondi mi stette a riguardare
fra il furioso ed il sorpreso, al che calmatosi mi disse:
”non sei tu parte di questa feccia ch’ho a biasimare

sino all’ultimo dei giorni, non hai l’unghie infisse
sul terreno, non sei sporco di quella terra in cui riparo
trovano coloro che, prima che la vita loro sbiadisse

in quest’inferno, hanno tenuto ‘l collega loro ignaro
d’ogni vicenda” “Signore, proprio non comprendo
le sue parole e la cagione per cui in questo prato avaro

d’ombra vi disponiate come a gran battuta, colpendo
l’erba con gravi frustate”. Allora tacqui ed ebbi risposta:
“mira fra le tue gambe e scorgerai nera tana. Volgendo

lo sguardo a poca distanza un’altra ne vedrai più nascosta.
Poco oltre, tante e tante altre. Se avrai pazienza
e buona vista, potrai intravedere gli occhi della riposta

creatura che in quel pertugio vegeta e che sentenza
divina ha condannato. Sono costoro simili a conigli,
destinati a pascersi d’erbe fetide e a fuggir senza

posa dai cacciatori loro. Inermi e privi d’artigli,
con le nude mani scavano le anguste buche in cui
celano agli altri lor vergogna. Son costoro i figli

delle peggiori colpe: profittatori delle esperienze altrui,
ladri e parimenti ignavi, pavidi, indifferenti e buoni.
a nulla. Se ancora non hai compreso chi abita i bui

cunicoli che calpesti sarò più chiaro: sono i lurkoni,
e siccome in vita loro hanno soltanto preso senza nulla
dare in cambio infine son state date loro buone ragioni

per tacersi. A migliaia infestano questa brulla
collina come in gran numero hanno tratto dagli altri
quanto utile al piacere d’un amplesso. Or li trastulla

la mia spada e, per quanto possano ritenersi scaltri,
decine ogni dì ne infilzo col mio affilato spiedo”.
“E’ dunque per un giusto scopo che vedo voialtri

affaccendati a trattar come cacciagione chi non credo
degno d’esser trattato in altro modo. E’ mia soddisfazione
di vedervi a quest’opra intenti e mi dolgo e mi ravvedo

per esser stato mosso un solo istante a compassione”.
Preso commiato dal mio interlocutor e dalla sua retta
compagnia, con buona lena volsi me in direzione

opposta lasciando loro far di que’ porci ricca porchetta.
Lungo tempo vagai senza meta e più tempo ancora
spesi nel rammentar quanto occorsomi nella reietta

mia esistenza finché non mi trovai a guatar l’aurora
d’un novello giorno che lenta rischiarava una piana
di folla innumerevole stipata. Nel mezzo vi affiora

un’aspra roccia aguzza, circondata da inumana
calca da ogni lato. Sgomitando a forza fra ‘l corrotto
popolo che sua virtù perdette in vita, con villana

tracotanza e indicibile fatica giunsi a rimirar da sotto
l’alto scoglio. In cima ad esso stava un essere solingo
che così parlò: “al sommo di questa rupe pago lo scotto

d’aver fatto, dopo infruttuosi tentativi, finalmente bingo.
Ma non è quella più grave colpa bensì l’aver congeniato
astruso modo di rivelarlo al mondo”. “Se verità attingo

dalle tue parole, Spongebob credo tu sia e meritato
castigo hai nel sopportar le grida dell’immane stuolo
ai tuoi piedi radunato. Ad uno solo d’essi hai rivelato

il nome di tua leggiadra scoperta e come punteruolo
infisso nelle carni siano per te lor doglia e loro offesa.
Numero sì grande di punter mai vidi in vita che ‘l suolo

tutto ne è coperto come tappeto di sostanza rappresa.
Cogli il senso di questa mia infausta predizione:
mille volte mille anni durerà vostra comune attesa

che faccia sua comparsa una debita recensione”.
Mi congedai dall’uomo il cui intimo contegno
era specchio fedele d’una profonda contrizione

per cercare altrove, se mai ve ne sia, verace segno
di redenzione. Tale la turpitudine di que’ luoghi
ch’io sentìa mio sembiante spregevole ed indegno

di traversar l’ultima porta. Volli dunque estinguer li roghi
ch’infiammavan mia coscienza mercè un bagno
nella chiara fonte ch’avea sottocchi. “Pria ch’affoghi

in quest’acque, poni mente che non v’è guadagno
a far sapere agli altri quanto accade nel segreto
d’una camera da letto. A profitto di quale taccagno

vuoi ancora discettar di belle prese? Quanto un peto
dura l’esistenza nostra nel primo mondo ma l’infinito
tormento ci attende in questo”. Raccolsi dal greto

pochi panni e, coprite mie vergogne, di primo acchito
dissi all’anima che m’avea interrogato: “non sbaglia
chi giudica poca cosa l’esperienza terrena e contrito

son io di come l’ho sprecata. Certo non v’è boscaglia
pubica che valga imperituro dolore ma più lieve
è la sventura che si condivide. Se non erro, Takaya

è il nome tuo e credo tu comprenda quanto una breve
stantuffata sia motivo di maggior sollazzo se diviene
motivo di un’animata discussione e la pur greve

ilarità che ne consegue scioglie ‘l cuor dalle catene
che nobile condotta richiede”. Indi presi l’ascosa
via che mai percorse nel fior degl’anni uomo dabbene,

acconciandomi ad ogni passo affinché riottosa
entità non avesse a biasimarmi in pari maniera.
Per lungo tratto non ebbi ad incrociar persona o cosa

tanto che la vasta pianura solitaria m’era foriera
di più attenta riflessione su come volge al peggio
nostra mancata professione: non v’è bella e fiera

esperienza che possa porre termine al dileggio
di quanti invidia muove ad arrecar danno,
non v’è sponsorizzatore che tenga al maneggio

riposte sue fanciulle sicché non val l’affanno
che coscienza impone di render noto a molti
lieto esito d’una buona puntata. Quanto l’inganno

paghi dimostrano tanti newbie malamente accolti
e conferma il veterano che censura gl’altri tronfio
de’ suoi post e men dei topic suoi. Di simili risvolti

ebbi a cogitar sì grande tempo ch’un rigonfio
fiume e minaccioso apparve come d’improvviso
ad arrestar mio passo sì da tralasciar pensiero gonfio

d’amarezze. Come sovente cambia d’avviso
chi sue certezze ha abbandonato, mirai perplesso
‘l paesaggio triste che mia speme avea deriso

di riguadagnar tosto la superficie. Stava ritta presso
la riva del torrente una solenne figura ignuda
che l’attributo tenea in mano mischiando l’eccesso

di sua vescica ai flutti. “Quella ch’io vedo è cruda
immagine a confronto con l’incorporea sostanza
di cui è fatta l’empia schiatta. Prima che concluda

tua minzione, dimmi se quivi è buona costumanza
di pisciar in pubblico a profusione”. “Io dirigo
‘l copioso fiotto giallo a piacer mio ma la costanza

del getto non comando più. Io sono Almostindigo
e mia condanna è d’aver tra le gambe imperitura
sorgente. Sarà per collera divina, sarà per l’intrigo

di qualche maligno spirto, tant’è che mia sciagura
tu ben vedi”. “Hai sì ragione a dolerti e a trasalir
di tua ingrata sorte ma essa consegue alla premura

con cui cercasti in vita avide bocche da riempir
non già di baci ma d’urina”. M’incamminai poscia
per metter campo fra me ed il dannato e fuggir

dall’acre odore che promana da quanto scroscia
dal suo pene reso simile a fontana. Ebbi l’esempio
di un’infallibile giustizia nell’incontrar floscia

parvenza di persona del cui corpo facea scempio
un gonfiore che ratto cedeva ‘l posto a turbolenza
d’intestino. “Non v’è castigo che scoraggi l’empio

dal varcar la soglia del bordello e non v’è sapienza
umana che possa trattenere il maschio dall’istinto
di por mano al portafoglio. Di qual colpa è conseguenza

questo malessere che ammorba l’aere? Son convinto
che tua esigenza corporale sia ‘l complemento
degno ad un orribile misfatto”. “Per quanto vinto

dai gas che digestione nostra crea forte dissento
da quanto dici. Al sommo dei miei pensier tenni
soddisfazione de’ mie vaghezze ma un lamento

non ebbi mai dalle mie pay” e con rapidi cenni
del volto mi fece segno di scostarmi che un vento
fetido dovea spirargli dalle chiappe. Quando ottenni

di potermi nuovamente avvicinare simile evento
tornò a scostarmi da quell’uomo. “Non trattengo
oltre mio desio di conoscer l’insondabile intento

del creatore”. “Qui ogni giorno cento volte vengo
a scaricarmi viscere e coscienza. Amai donne discinte
e di facili costumi ma in franchezza non mi sovvengo

d’altre imputazioni. Predilezione mia aveano le incinte,
gravide d’un figlio altrui. Se c’è altro l’ho dimenticato”
e novellamente l’ampio ventre suo subì le spinte

d’una ignobile folata. Trascorso il puzzo dell’afflato
che m’avea investito dissi lui tenendomi distante:
“Ora ti riconosco, sei Erotico83 ed hai impegnato

lunga ricerca d’una ragazza a tuo modo interessante.
E’ giusto che ripaghi quel tuo vezzo provando
su te stesso cosa significhi attendere un infante”

quindi lasciai il martoriato figuro che evacuando
stava ancora ‘l sentimento suo per un praticello
ove un arbore pizzuto simile a cipresso di quando

in quando parea scosso da un timido sussulto. Quello
che lungi avea sembianza vegetale presto rivelossi
quel che era: un alto fallo sulla cui cima, come fringuello

che desìa riposo, era appollaiato uno dei percossi
dalla sventura. “Quale luogo impervio hai scelto
per posar tue membra! Non temi che que’ rami scossi

dal vento ti lascino cader nel vuoto? Scendi svelto
pria che accada il peggio”. “Tu ti prendi gioco
della mia persona e della pena per cui fui prescelto.

Ben vedi che non di albero si tratta e non poco
son io trafitto nelle mie terga. Come monaco stilita
giaccio immobile su questa colonna e il fioco

chiarore del mattino mi desta ogni dì ad una vita
che vita non dovrei chiamare. Un tempo estinguevo
le mie voglie sulla Tiberina ma l’orrida ferita

che mi deturpa il bassoventre non trae alcun sollievo
dai bei ricordi. Da quando spergiurai pubblicamente
d’aver toccato con mano un inusitato rilievo

infra le cosce d’una donna più d’ogni altra valente
nell’arte orale, sventolo su quest’asta come bandiera
conservando tuttavia la sensibilità rettale d’un vivente”.

“Anima sciagurata, se non è facezia ma veritiera
storia quella che racconti, so chi sei. Vivalafoca
fosti chiamato nell’altra vita e la fosca tua carriera

di punter t’ha condotto ad aver la voce rotta e roca
per il troppo patimento posteriore”. Come schizzo
di fugace piacer volsi mio sguardo altrove che poca

creanza avea di rivolger nuova favella all’indirizzo
del meschino, dimentico del passato suo di puttaniere
come io d’essermi chiamato un tempo Megabizzo.


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