Penso che portare a casa una mercenaria possa essere un errore per ovvie ragioni.
Un errore… molto attraente, come esperienza di rottura, per me irresistibile, delle ipocrisie borghesi, e che ho spesso replicato, in realtà senza pentimenti.
Ho portato a casa in tutto una dozzina di ragazze, alcune più volte, una di esse, la prediletta, quasi tutti i mesi da anni.
Siccome non sono un frequentatore di escort esclusive, ciò ha significato reclutare rumene, preferibilmente zigane (in senso stretto, ma professioniste del marciapiede, mica prese nelle baraccopoli), spesso caricate, per la comodità della scarsa distanza, in una delle strade più allucinanti del meretricio milanese: viale Ortles.
Sarà perché casa mia non è un attico protetto da allarmi e dobermann, sarà perché i soldi non li prendo direttamente dalla cassaforte chiusa con combinazione e nascosta dietro una tela del Tiziano, sarà perché non camminano su tappeti di lusso distratte da luccicanti soprammobili preziosi, ma non mi è mai capitato di ritrovarmele davanti alla porta il giorno dopo accompagnate dal loro agente commerciale con lo scopo di ricattarmi, non mi è mai sparito neanche un centesimo ecc. ecc.
Le delusioni ci sono state, certo, ma quando è stata un pezzo di legno lei, incidenti del mestiere che possono capitare ovunque e con chiunque, che rincrescono quando si viaggia attorno ai 100 euri di parcella, motivo per cui, in effetti, a differenza che nel passato, ormai offro la situazione casalinga solo a conoscenze di lungo corso, in ogni caso con il ricordo anche di tanti incontri potentemente o lietamente erotici.
Già, perché in motel mica si può fare tutto quello che si può fare a casa!
C’è ad esempio il fascino sinistro dei sotterranei: ho impecorato una in un angolino buio, aperto ma ben nascosto, negli scantinati sotto una grata metallica, un’altra l’ho presa sdraiata sul cofano della macchina in garage (con il portellone abbassato).
C’è il balcone, dove, semi-protetti dalle piante, abbiamo consumato un paio di volte.
C’è anche il farmi vedere con loro, almeno potenzialmente, un’esperienza ambiguamente a metà fra il fastidio e il divertimento. D’estate in effetti ne ho strappate alla strada di vestite in modo così sconcio che ho cercato di far loro indossare qualcosa: pantaloni, maglioni. E fra accettazioni, rifiuti, prove, esiti buffi con taglie inadeguate è spesso stato simpatico anche per loro. Due volte, però, che ho portato a casa una ragazza zigana cui avevo chiesto di indossare abiti tipo i loro costumi tipici, le ho fatto fare apposta le scale, tenendola per mano rampa dopo rampa, così se i vicini benpensanti volevano spiare e denigrare hanno potuto farlo.
La mia posizione preferita in assoluto, poi, è io in piedi, lei sdraiata di schiena sul tavolo della sala-cucina, gambe aperte attorno al mio bacino o tese sulle mie spalle, con la televisione comoda per eventuali proiezioni d’accompagnamento. Peraltro se apro la porta-finestra la scena resta invisibile ai vicini, provocazione che in effetti mi sembrerebbe eccessiva, ma diventa godibile da un parcheggio poco più lontano, e infatti un paio di uomini una sera non hanno mancato di prestare un’interessata attenzione alle pratiche in corso.
La casa è pure un bel set fotografico: ho decine di scatti, anche se solo con un paio di loro, vestite e spogliate, sulla scaletta e la libreria di sfondo, sul tavolo, in bagno, pose più spinte e altre più caldamente domestiche.
Infine, consideriamo che non siamo solo noi ad avere dei timori per la situazione. Alcune ragazze rifiutano per principio di andare dal cliente. Con una in particolare, che frequento da cinque anni, ormai se ne ride, ma intanto non si smuove. Addirittura la prediletta, che la conosce ed è incredula di fronte a tanta diffidenza, voleva farmi il piacere di parlarle per rassicurarla, ma per il momento nessuno l’ha persuasa che non mi trasformo in un cannibale varcata la soglia di casa.