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Moscarossa
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eternoinnamorato
IMPERATOR (17901 post)
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Ciao areanotturna




Grazie per i tuoi racconti.
In caso di Necessita' Contattate il Nostro Moderatore GIZUR
areanotturna
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Mentre copiavo&incollavo questo racconto, ho googlato un pò e ho scoperto che tale NicoDevi mi ha rubato la prima parte, e l'ha pubblicata su un forum che tratta di pokemon. Vi assicuro comunque che è farina del mio sacco.
areanotturna
Full Member (77 post)
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Visto che a quanto pare i racconti ficcano...ehm FIOCCANO, questo è un racconto che scrissi 4 anni fa circa.
E' una sorta di trilogia, un "ciclo". Vi avviso che è lungo, taaaaaaaaaaaaaaaanto lungo...quindi se gradite, abbiate TAAAAAAAAAAAAAAAANTA pazienza...e un paio di VU pronte, magari andate a pay

P.s.: vista la lunghezza dei racconti, ho deciso di aprire 3 post. Ai mod & Admin: se non dovesse andare bene, uppo tutto su link esterno.

Parte 3. EVASIONI - IL VIZIO

"Un pacco di rosse e un gratta e vinci da due euro."
"Ecco qua, prego."

Ormai sapeva quasi a memoria le richieste di ogni singolo cittadino, l'orario in cui si presentava al bancone, i gesti, il modo in cui pagava, il modo in cui chiedeva. A meno di qualche francobollo, sapeva vizi di tutti, perlomeno quelli comuni.
Stava dietro quel bancone già da un paio d'anni ormai, e considerato che il paese era piccolo, aveva fatto in fretta a memorizzare i suoi clienti.

Il bancone era pieno di caramelle, lecca lecca, chewing gum, e quant'altro potesse fare la felicità di un bambino.
Dietro di lei, uno scaffale diviso in reparti di uguali dimensioni pieno di sigarette, sigari, cartine, e quant'altro potesse fare la rovina di un adulto.

Monica stava lì, divisa tra i vizi pubblici del genere umano, ormai aveva smesso di chiedersi perchè la gente fumasse o perchè quando i bambini piangono le mamme li fanno smettere comprando loro dolcetti varii.

Alta, magra e stretta nei suoi ventinove anni, capelli lunghi castani che amava curare e tenere legati, un viso lungo e bianco che metteva in risalto le labbra rosse e carnose, un seno che odiava perchè troppo piccolo, ma che aveva fatto la fortuna di un fotografo della città quando le chiese di posare per un innocente servizio fotografico che preferì vendere ad un marchio di vestiti per farne pubblicità. Errori di gioventù, trasgressioni liceali che ormai aveva sostituito con altre passioni.

Aveva avuto in regalo quest'attività dall'uomo che aveva deciso di sposare, e che aveva rilevato da un amico prossimo alla pensione, al quale aveva fatto un'offerta che gli avrebbe permesso di finire di pagare i debiti e viversi così una degna pensione.

Luca era un bel ragazzo: palestrato trentunenne, simpatico, lavoratore fortunato, una specie di Re Mida che aveva passato in rassegna quasi tutti i supermercati della provincia prima di diventare direttore della filiale del più grande supermercato in paese. Un ragazzo che aveva costruito la sua fortuna, ed il suo patrimonio, giorno dopo giorno. Donnaiolo, amante della bella vita mondana e delle ragazze più giovani di lui, che abboccavano al suo amo spinte dal suo carattere festaiolo e menefreghista; un moderno yuppie che non si faceva mai mancare nulla, nè faceva mancare nulla.

I due si incontrarono dopo che lui scaricò la sua ultima inesperta e adolescente ex, che aveva saputo sapientemente trasformare in una docile ed educata zoccoletta, schiava per troppo amore della sua figura. Con Monica fu amore a prima vista: lui ben vestito, con in mano un bicchiere di whiskey, lei in gonna davanti al bancone in discoteca. Qualche sguardo, un invito, una notte passata a cazzeggiare in giro e che si concluse felicemente nella villa in cui Luca viveva assieme ai suoi.

La vita, quella cosa che capita un pò a tutti mentre si è impegnati a scopare o lavorare, decise di farli sposare.
Il destino, quella specie di amico crudele che tutti cercano ma che si presenta quando vuole, li accoppiò.
Così, un pò per amore, un pò per caso, un pò per convinzione, unpò per noia.

Una festa degna di un matrimonio principesco, la villa parata a festa, la macchina di lusso noleggiata per portare gli sposini da casa alla chiesa, la festa in giardino, gli invitati d'elite stretti nei vestiti eleganti dell'occasione, le macchine fotografiche, il vestito da sposa, le lacrime dei parenti e le malelingue degli amici, fecero da contorno a quella lapide che tutti chiamano "il giornopiù bello della vita".

Un sogno, quello di Monica, che svanì ben presto, quando si accorse, tardi, dell'uomo che aveva a fianco.
Un uomo che preferiva dedicarsi anima cuore e muscoli a sè stesso, che preferiva tornare a casa a parlarle della nuova merce arrivata al supermercato o degli esercizi per i bicipiti che non scoparla a dovere adempiendo ad un articolo sancito sul codice civile per evitare lo scioglimento del matrimonio o ad una necessità per entrambi. O perlomeno per lei.

La solita coppia dei soliti giornali che dispensano i soliti consigli per gli uomini, che solitamente Luca comprava dal solito giornalaio che come al solito glieli metteva da parte, che faceva il solito sesso massimo tre volte a settimana nonostante i soliti stupidi articoli ostentavano i soliti mille e più metodi per fare impazzire la solita partner a letto, e che come al solito fallivano nel loro solito intento.

Questa era la summa del matrimonio tra Luca e Monica, secondo le opinioni di una donna costretta a sorbirsi riunioni e cene di lavoro, meetings, happenings, e tante altre stronzate noiose e superflue che dette in inglese suonavano più lussuose.

L'unica distrazione per Monica da quella vita fatta di lussi e chiacchiere era la sua noiosa attività e qualche giocattolino acquistato per corrispondenza da un catalogo, e che usava quando il marito era assente. Non aveva mai avuto la forza di parlarne, di questi suoi problemi: tutto veniva meno quando il marito le faceva i resoconti del giorno, come se dovesse parlare al commercialista.

Quell'attività che le faceva conoscere la gentile clientela della cittadina, e i militari della caserma di fronte.

Militari. Non aveva molto a simpatia questa categoria: i casini che la leva aveva combinato, la guerra, il fatto che aveva conosciuto pressocchè i peggiori elementi di tutte le regioni italiane, perchè i migliori li riconosceva quando ringraziavano o entravano senza quello sguardo carico di voglia di provarci, che pesava alla sua bellezza e la distraeva dal lavoro.

Militari. Puntuali. Dopo le 17.30 tutti lì: chi voleva le rosse, chi le blu, chi le leggere, chi il tabacco e le cartine, chi solo le cartine guardandosi attorno come se ci fossero i cani della finanza, chi il biglietto dell'autobus, chi entrava per guardarla ed usciva con un gratta e vinci in mano.

Militari.

Come ogni sabato sera, Monica abbassò la saracinesca, prese i registri contabili, unica umile cosa che l'accomunva a Luca, e si sedette dietro al bancone per chiudere la contabilità settimanale.
Aveva quasi finito, che sentì il rumore metallico della saracinesca. Non ne trasalì: come ogni sera, Luca era arrivato per andarla a prendere.

"...more!", disse strascinando la voce come un coniglietto innamorato.
"Arrivo tesoro!", esclamò lei soffocando la noia.
Alzò la saracinesca e si buttò al collo del marito, notando che nascondeva dietro le spalle un mazzo di rose.
"Oddio...", esclamò lei felice nonostante avesse già intuito.
"Eh si vita mia...sono per te!", girò il braccio e gliele porse.
Dodici rose rosse, ancora umide e profumate, si presentavano al volto di un esterrefatta ma cosciente Monica.
"Che belle...Ti amo!", disse lei.
"ai, preparati. Andiamo a cena ed usciamo!", esclamò mostrando il suo tipico sorriso a trentasei denti che tante altre donne aveva ipnotizzato.
"Ma i registri...dai dammi cinque minuti!"
"Beh, domani è domenica no? Li finisci con calma domani!"
"Ok", esclamò rassegnata. Entrò nella tabaccheria, spense le luci, entrò nel retrobottega, prese la giacca ed uscì dal locale, dopo aver acceso l'antifurto. Il solito rituale della chiusura si concluse con un bacio sull'uscio, e Luca abbassò la saracinesca.

Entrarono nell'auto nera lucida e splendente alla luna come uno specchio, gli interni in pelle e la radica di noce accolsero nel loro profumo di nuovo rinnovato i due, che si accomodarono ognuno al suo posto. Luca accese il motore guardando sorridendo la moglie, che accese lo stereo.

Jamiroquai risuonò nell'auto che usciva dal parcheggio. Erano finiti da un pò i "Seven days in sunny June", ma questa canzone le rinfrescava l'aria di un'estate pesante, e le ricordava che di lì a qualche giorno sarebbero finalmente andati in vacanza, quella crociera in Egitto organizzata l'inverno prima.
Non vedeva l'ora: staccare la spina dal mondo seriale in cui si trovava era un toccasana per entrambi. Vedere facce nuove, posti nuovi, odori nuovi, la riportava nella giusta dimensione sessuale.

Arrivarono davanti casa dopo una decina di minuti. Il cancello della villa si spalancò appena i fari dell'auto illuminarono la serratura, come se quella luce sostituisse il bottoncino del telecomando che Luca teneva nel portaoggetti alla sua sinistra.
L'aria aveva l'odore tipico della pioggia sull'erba, un odore che la rilassava e la distraeva dai pensieri di noia.

Entrarono in casa: il parquet lucido sembrava infuocare il grande salone d'ingresso illuminato dalle appliques sul muro.
I quadri antichi, che rappresentavano scene di vita sconosciute, seguivano la coppia che si dirigeva nella sala da pranzo.
La cena era pronta, i governanti ormai avevano imparato i loro orari.

Si sedettero, e Luca prese l'insalatiera: niente di meglio di un piatto freddo di spaghetti e pomodorini, leggero e rinfrescante, pensò sorridendo alla moglie, che iniziava a soffrire quel sorriso per nulla enigmatico del marito. Ormai anche il sabato era una routine. Qualsiasi cosa avessero fatto, era la solita.

Luca servì la moglie, si riempì il piatto, versò del vino bianco ad entrambi e cenarono.

"Tesoro, sai oggi è venuto quello...come si chiama...beh si insomma il fornitore di quei cosi che ti piacciono. Lunedi dovremmo fare le ordinazioni, ma è venuto un paio di giorni prima per staccare un pò. L'ho invitato per stasera al Cubo, che ne pensi...ti va?", disse con la voce di uno che nascondeva il fatto che avesse organizzato ogni singolo dettaglio.
"Certo amore, mi va proprio una serata in discoteca", rispose lei nascondendo quel cinismo che negava quanto interessata fosse.
"Lo sapevo, baby...ed è per questo che ti amo!", esclamò lui imitando un moderno cowboy metropolitano, convinto della felicità della moglie.

Si alzarono finita la cena, e si diressero verso le scale che portavano al piano superiore.
Le scale tirate a lucido stavano a metà di un lungo corridoio spezzato qua e là dalle porte delle camere e dei bagni.

Monica si diresse in bagno, iniziando a slacciarsi la camicetta.
"...'more...vai già a lavarti?", chiese sardonico il marito.
"Si...perchè?", rispose distratta.
"Non vuoi fare niente prima?" ribadì lui, indagando.
"Ehm...si amore...hai ragione, scusa", rispose lei indirizzandosi al suo volto. Lo baciò, si chinò, gli slacciò i pantaloni e abbassò la cerniera.
Gli tirò fuori dalle orrende mutande bianche l'uccello ancora moscio, si chinò ed iniziò a succhiarlo.

Adorava prendere tra le mani il pene moscio, adorava sentirsi indurire in bocca quel pezzo di carne che ogni tanto riceveva dentro di sè.
Amava metterlo dentro la bocca tutto intero, senza fare uscire la cappella dal suo guscio epidermico, amava sentire i battiti dei nervi e le vene che facevano affluire il sangue e pian piano indurivano quello scettro.
Dopo un paio di minuti, Luca era eccitato ed il suo cazzo disteso e duro: Monica iniziò a baciare, quasi timidamente, il prepuzio rosso e bollente, per poi scendere piano piano verso i testicoli, muovendo la lingua instancabilmente, dando dei colpettini tra le piccole labbra del glande per aprirlo e sentire l'umore delle prime, invisibili gocce di sperma. Scendeva giù con la testa, cercando di eseguire una danza rotatoria con la lingua e la bocca, come un ballerino che fa volteggiare in aria una danzatrice, forte ma sensualmente delicato.

La donna fece scivolare piano la mazza del marito fuori dalla sua lingua, tappeto rosso per la passerella dei sensi, e lo prese nella mano senza stringerlo, come se non volesse spezzare quella carne nodosa e dura.
Si sistemò abbassandosi sulle ginocchia, aprendole in modo da stare comoda. Da questa posizione poteva avere il controllo totale di tutto il corpo del marito, ma soprattutto di quei diciotto centimetri di turgido calore. Riusciva a guardarlo meglio negli occhi, atteggiamento che faceva perdere la cognizione all'uomo, sempre più eccitato.

Luca la teneva per la testa, accarezzandola pian piano, o portandola a sè in modo da farle ingoiare tutto il suo sesso, come una novella gola profonda ai suoi piedi. Amava sentire la sua cappella sbattere dolcemente contro la gola della donna, che non soffriva più i conati di un tempo: con l'attuale marito, una volta semplicemente fidanzato, era la prima volta che accompagnava così in fondo il muscolo del piacere, riuscendo a toccare il pube con le labbra.
Un boccone che le faceva aprire le labbra vaginali in un attimo.
Un boccone che lo bloccava in un'istantanea di goduria e piacere.

Monica sentiva i nervi impazziti, il sangue che sarebbe letteralmente fuoriuscito dalle vene, ingrossate per lo sforzo.
Iniziò ad accarezzare i testicoli, e li sentì duri e carichi di sperma. Decise che era il momento di stringere la base del cazzo, in modo da ritardarne l'eiaculazione: una pratica che non dispiaceva a nessuno dei due, ma che richiedeva sacrificio e delicatezza. Ma ormai la donna era un'esperta, e Luca si lasciava trasportare, sicuro, dalle mani della moglie.

La donna strinse i testicoli, cercando di vedere se il sesso del marito diventava cianotico.
Voleva succhiarlo ancora, voleva riempirsi di una dose di caldo succo.
Pensava che se fosse stata un uomo, non avrebbe mai scopato, perchè dei pompini così perfetti la avrebbero fatta venire senza bisogno di penetrare.
Pensava che i suoi giocattolini segreti l'avevano allenata bene, nei momenti in cui la compagnia dell'uomo veniva a mancarle.
Sapeva di saper fare i pompini. E non le dispiaceva.

Ormai Luca non ce la faceva più. La cappella umida sembrava volersi staccare dal resto del pene, così come il cazzo sembrava voler scoppiare.
"Monica...Monica...", ansimava sofferente, per cercare di convincere la moglie a smettere.
Monica invece tornò a succhiare, con più voracità: i movimenti rotatori della sua lingua divennero spirali di piacere, ed a nulla valevano gli accorati appelli di un condannato ad una morte che tutti sognerebbero di avere.

Sentiva la cappella riempirle la bocca, sin quando staccò le mani dall'uccello, lo inghiottì sino ai testicoli.
Un attimo, un'ultima volta, e lasciò il cazzo uscire dalla sua gola, sbattendo qua e là in bocca.
Un attimo, un attimo e quella mazza carica di sperma uscì.
Un attimo, puntò il viso di Monica, che si avvicinò ed aprì la bocca, come un disidrato nel deserto con la bocca resa piccola dalla mancanza d'acqua, di fronte ad un'idrante dei pompieri.
Un attimo, e lo sperma caldo si liberò dalle prigioni dell'uomo per saziare la sete di sesso che, maliziosa, si nascondeva in ogni angolo della bocca della donna.

Monica bevve soddisfatta ed assetata, il corridoio già caldo per l'estate sembrava aver creato una fornace tra i due corpi immobili nella fellatio.
Guardò sorridente e stanca il marito, che la raccolse da terra e la abbracciò, accarezzandole la testa.

Entrambi si diressero in camera da letto, si spogliarono, e si diressero nei loro bagni privati.
Si fecero una doccia, si sistemarono, e furono pronti per uscire nel sabato sera.

L'auto imboccò una strada buia, che portava in un paesino poco distante famoso solo per la discoteca Cubo, uno dei locali più gettonati, frequentati dall'elite della provincia, gente da poco entrata a far parte della schiera dei trentenni, che ha superato l'impatto dell'esuberanza sfrenata dell'adolescenza e dei vent'anni, sposata o single, cornuta o gay, che usano il sabato sera per distaccarsi dallo schematico prosieguo della settimana lavorativa. Diviso in tre piani, il Cubo riusciva ad accontentare la clientela più esigente e svariata: il truzzo da discoteca poteva perdersi dentro la musica del primo piano, illuminato da luci techno e battiti accelerati; il ballerino sobrio riusciva a divertirsi con moderazione nel secondo piano commerciale, mentre i nostalgici dei revival anni '70-'80, e dei ritmi calienti del Sudamerica si fiondavano al terzo piano, al di sopra del quale si trovava il Relax Roof, un tetto all'aperto con piscina e bar, illuminati dalle luci blu soffuse, nel quale potersi fare un bagno o bere un cocktail leggero, o drogarsi prima di riprendere in corpo lo scorrere incessante del ritmo.
Un locale che Monica e Luca erano soliti frequentare, un locale dentro il quale ormai erano conosciuti e stimati, tanto da passare la rigida selezione dell'ingresso come una normale coppia che torna a casa e trova il portiere di fiducia.

Arrivati, parcheggiarono l'auto vicino l'ingresso, consegnandone le chiavi a Matt, un omone italo-americano dall'aspetto imponente, simile ad una roccia del wrestling, ma dal carattere di orsacchiotto, intimo amico di Luca.
"Hello man...time for dancing?", chiese sorridendo appena vide l'amico.
"Ciao Matt...beh, è sabato sera o sbaglio"?
"Si, per molti ma non per tutti...almeno non per me!", rispose divertito dalla battuta nel suo accento dalla "r" impiastricciata fra i denti.

I due scesero dall'auto, si presero per mano e si diressero verso l'ingresso, passando tra le file di macchine, nelle quali qualcuno stava sicuramente più comodo che all'interno della discoteca, visti i finestrini appannati sotto la calda luna di agosto e del ventre, o si abbandonava a qualche strana sigaretta condita, visto gli odori più svariati che si sentivano in giro, o i filtrini sporchi di rossetto abbandonati sotto le portiere, come se ci si volesse nascondere dagli indiscreti occhi del fascino discreto di una viziosa borghesia.

"Ma dove eri finito?", chiese una voce profonda che strattonò Luca per la giacca, mentre Monica a lato si sentì raggelare.
"Ma che caz...ah sei tu! Beh sono puntuale, alla fine la mezz'ora accademica non guasta! Ma che ti è preso?", rispose furioso e terrorizzato Luca.
"Non mi fanno entrare, dicono che non sono conosciuto.", rispose l'uomo incazzato della situazione.
Era Manuele, il famosissimo fornitore di qualcosa che molto simpaticamente il marito di Monica si era portato appresso per il sabato sera.
Basso nel suo metro e sessanta, vestito come uno spacciatore sudamericano dei peggiori film di serie B, nella sua giacca bianca e larga che nascondeva un'orrenda camicia nera, al di sotto della quale c'erano un paio di pantaloni che toccavano la caviglia a filo delle scarpe, come se il sarto si fosse confuso nel cucire una gamba così piccola. I capelli immersi nella brillantina, con la riga di lato, ereditati dal mito di Fred Buscaglione, forse perchè anche lui era piccolo così, la barba fatta e il mento sudato, facevano di questo uomo un piccolo capolavoro del thrash del sabato sera. E pensare che era uno dei più ricchi donnaioli che Luca conosceva: bravo a lavoro, aveva costruito un impero economico con la sua ditta distributrice di miriadi di prodotti, bravo a letto stando alla ragioniera di Luca che concedeva la grazia della sua quarantunenne passera di single nel magazzino merci ogni volta che lo vedeva, e che faceva la gioia del cazzo del nanetto, visto che vantava le sue abili doti di vamp della quale nessuno ha mai saputo approfittare sino in fondo. Ed in fondo, neanche Manuele si lamentava della ragioniera, visto che quando raggiungeva il supermercato di Luca era la prima che cercava.
Moscarossa