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Escort Italia, Donna cerca Uomo - Simple Escorts Escort Italia, Donna cerca Uomo - Simple Escorts
areanotturna
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Visto che a quanto pare i racconti ficcano...ehm FIOCCANO, questo è un racconto che scrissi 4 anni fa circa.
E' una sorta di trilogia, un "ciclo". Vi avviso che è lungo, taaaaaaaaaaaaaaaanto lungo...quindi se gradite, abbiate TAAAAAAAAAAAAAAAANTA pazienza...e un paio di VU pronte, magari andate a pay

P.s.: vista la lunghezza dei racconti, ho deciso di aprire 3 post. Ai mod & Admin: se non dovesse andare bene, uppo tutto su link esterno.

Parte 2. IL METRONOTTE

Il lavoro in ufficio era già finito da un pò ormai, agosto era il mese più calmo dell'anno, ma restare in quella comoda poltrona, la finestra socchiusa e l'aria condizionata alla giusta temperatura era un piacere che la rilassava. Quasi tutti erano in ferie, non si sentiva il caos delle fotocopiatrici, le urla del capo bonaccione ma molto rigido, nè la puzza di sigaretta del solito maleducato che fumava nervosamente ovunque.
Rimanevano in pochi, giusto per non trovarsi indietro con il lavoro agli inizi di settembre. Qualche ragioniere, la donna delle pulizie e il figlio del netturbino in fondo alla strada, che per guadagnare qualche centesimo la aiutava nelle faccende.

E rimaneva pure lei, stretta in un vestito che la faceva sembrare ancora più in forma di quanto non lo fosse già.

Beatrice, per tutti Bea, quarantasettenne donna in carriera, vedova di Mario, una figlia ventenne cassiera di un supermercato al paese che non le dava pensieri, che si rilassava così, immersa nel silenzio, dopo una giornata non proprio stressante ma comunque non leggera, visto il caldo afoso che regnava in quell'estate che stava quasi per finire.

"Pronto?", rispose candidamente affannata Donatella, che sicuramente stava andando da qualche parte dopo il lavoro.
"Amore, arrivo fra poco, ho avuto una riunione in ufficio ma non sono riuscita a chiamarti prima..."
"Ok mamma io sto uscendo con la Chiara, andiamo in città a mangiare al cinese. Non aspettarmi sveglia"
"Beh ok, mi ordino una pizza. Tu comunque non fare tardi o domani..."
"Si mamma, o domani non mi sveglio! A stasera mà! Ciao!"

E anche questa sera la scusa era servita.
A volte si domandava se veramente la figlia credeva alle sue bugie, ma comunque si fidavano reciprocamente, e questo bastava.
E Bea, in fondo non faceva nulla di male.

Bella, nelle sue quarantesette primavere, il lutto messo di lato non per egoismo ma per una sorta di istinto di sopravvivenza che la distingueva dalle altre donne del paese e dalle colleghe, stretta nel vestito nuovo, un completo quasi retrò ma che le dava quel tocco di classe in più che la incorniciava in una bellezza fine, matura.
Poche rughe sul viso, le ciglia ben curate, gli occhi castani profondi, un nasino piccolo che poggiava sulle labbra che sembravano scolpite a mano.
Sinuoso il collo, che si intravedeva dalla camicetta bianca aperta, un seno piccolo che preferiva mettere in risalto scegliendo accuratamente reggiseni neri di pizzo e giacche che le stringevano un pò la vita.
La gonna blu, che copriva le gambe vestite di collant bianchi, e le scarpe nere con il tacco basso, in modo da non aver fastidio ai piedi, per camminare libera e sciolta, in modo da far ondulare i lunghi capelli castani, che così lisci e ondeggianti ipnotizzavano quasi chiunque.

Sapeva di piacere, ma sapeva tenersi lontana da tutto e da tutti.
I commenti azzardati dagli uomini o dei ventenni, gli sguardi che la seguivano quando usciva dalla ditta per recarsi a casa, o in giro per il paese, le pesavano. Odiava ed amava questa sua bellezza che le dava forza.

Cercò frettolosamente il numero nella rubrica del cellulare, era impaziente di vederlo ma si sforzava a restare calma.

"Pronto", rispose con una voce calma all'altro capo del telefono.
"Ciao...io sono appena uscita...cinque minuti e sono da te", disse con una voce ferma.
"Bene, ti aspetto...un bacio", e riattaccò subito.

Un sorriso placido le si stampò sul viso, tirò un sospiro di sollievo, prese il lettore mp3 dalla borsetta che le cadeva dalla spalla sinistra, lo accese, Kate Bush iniziò a suonare la sua Babooshka, mentre si avvicinava verso la traversa che portava da lui.

Nessuno in giro, solo i grilli, qualche farfalla e l'odore delle vacanze nell'aria. Meglio, nessuno l'avrebbe vista, nessuno avrebbe messo voci in giro.
Arrivata al portone, bussò con le nocche delle dita. La porta si aprì.

"Entra..." disse, con la sua voce ferma, profonda.
La sua figura si stagliava tra la luce del pomeriggio che stava aprendosi alla notte, e il buio della sala.
Era alto, muscoloso, i pesi erano la sua passione da sempre, ma non esagerava come certi uomini che si bombardavano di esercizi e frullati di porcherie varie. I capelli ricci, corti su una testa squadrata ma armoniosa, le sopracciglia folte, i tratti somatici tipici mediterranei.

"Ciao Mario..." fu l'unica cosa che riuscì a dirgli. Non si vedevano da un paio di settimane ormai e ne sentiva la carnale mancanza.
Le si strinse al collo e lo baciò in quella bocca calabra che si esprimeva in un accento duro come lui, e non solo...ma non era il momento di pensare ad altro.
"Andiamo di là, la cena è pronta, ma non aspettarti granchè...stasera proprio mi mancava la voglia di cucinare, e ho pulito l'auto per la notturna", disse dopo aver gustato la lingua a fondo.
Cazzate, penso lei cercando di scegliere la pizza che avrebbe mangiato da sola aspettando la figlioletta.

Passarono per il salone illuminato dalla fioca luce del giorno che muore, soffocata anche dalle serrande abbassate per ovviare al caldo, e si diressero nella cucina, illuminata dalle candele sulla tavola imbandita che serviva solo da contorno scenico alla fame dei sensi.

Accese lo stereo, che risuonava Richard Clayderman ed il suo pianoforte confortante.

Aveva trent'anni, poteva essere il figlio di un errore di gioventù, ma preferiva tenerlo come complice ed amico.

Servì prosciutto e melone, un fresco antipasto che non placava certi calori.
La fece accomodare sulla sedia comoda, si sedette pure lui.
"Buon appetito", disse trafiggendo il suo sguardo, mentre nervosamente Bea accavallava le gambe sotto il tavolo, quasi a voler provare a fare sfregare tra loro le ormai impazienti labbra vaginali.
"Grazie...", rispose eccitata dentro ma calma fuori. Voleva farlo impazzire, ma lui non si scomponeva, testa di calabrese testardo.
Il silenzio riusciva a coprire anche il rumore dei morsi di lui, mentre Bea preferiva leccare quel melone umido anzichè mordicchiarlo.
Si sentiva giovane, non era mamma nè vedova in quel momento, ma solo una ragazzina schiava del suo piacere.
Non era amore, solo una sana e complice relazione sessuale che le serviva da toccasana.
La sua cocaina naturale.
Si guardavano intensamente, nessuno osava abbassare lo sguardo, come in una sfida a braccio di ferro.

Finito l'antipasto, Mario allontanò la sedia dal tavolo per prendere l'unica portata della cena, quel piccolo aperitivo prima del pasto vero e proprio.
Servì dei peperoni tagliati finemente, al di sotto dei quali c'era della lattuga fresca. Sete e fame, fresco e caldo, sguardi e umori rendevano l'atmosfera pesante, come se i ventisei gradi della cucina fossero diventati tutto d'un tratto centoventisei.

Si tuffarono in quel piatto come se non mangiassero da secoli, non ce la facevano ad aspettare più di tanto ormai: sapevano entrambi che la cena era a base della loro carne ed il vino i loro caldi umori.

Finirono subito, non gustarono il piatto, e Bea si alzò di scatto.
Sapeva la strada, ma rimase a fissarlo mentre lui affondava lo sguardo nei suoi occhi.
Si alzò, mentre lei si voltava in direzione della porta del salone, e la abbracciò da dietro, iniziando a darle dei baci teneri sul collo, quel collo ancora saporito come trent'anni prima, quel collo liscio come la seta, profumato, che stava sopra un busto venereo, con un seno di seconda, i tondi capezzoli dritti al centro delle mammelle, come a stagliarsi in alto a puntare la lingua di chi se ne sarebbe cibato.

Si staccò da Mario e lo prese per mano, decisa ed impaziente, e lo condusse in quella stanza da letto che era come un trono per una regina.
Preferì accendere solo l'abat-jour, per non spezzare quell incanto di buio e desiderio.

Il letto matrimoniale si aprì ai loro occhi, l'alcova dei sensi era pronta come ogni volta, la stanza profumava dei fiori nel vaso vicino alla toeletta, un vecchio ricordo caro al calabrese, che imprigionava la bellezza del volto di Bea dopo l'amore.
Adorava perdersi in quello specchio, mentre lui l'accarezzava e le baciava il collo ipnotico.

Mario si tolse le scarpe e si distese subito, mentre lei stava a fissarlo. Aveva i piedi grandi ma ben fatti, puliti e non callosi, le unghia ben quadrate e ben curate. Si tolse la maglietta e slacciò appena la cintura: in quella posizione, il rigonfiamento maschile sembrava un monte non impervio e facile da scalare.

Bea si mise ai piedi del letto, cominciando a slacciare piano la camicetta bianca. Mario impazziva per questi spogliarelli improvvisati, a volte si sentiva così preso dalla comodità della situazione che non voleva neanche sfiorarla: sapeva che lei conosceva il sentiero.
Finì di slacciarsi la camicetta e si tolse le scarpe, prima la destra e poi la sinistra, lasciando scoperti quei piedini perfetti coperti dai collant bianchi. Si tese verso le ginocchia di Mario, che la prese per le braccia e la condusse alla sua bocca.

Nonostante entrambi fossero vestiti, i loro inguini si incontrarono all'istante. Bea sentì pulsare il cazzo di Mario sopra la sua vagina coperta dalla mutanda nera, ed iniziò a compiere dei movimenti ondulatori con il bacino, in modo da stimolare la clitoride. Voleva venire prima di essere penetrata, voleva un orgasmo preliminare, doveva liberare quell'urlo che teneva legato dentro i polmoni.

Mario la strinse per i fianchi, ed iniziò a baciarla, mentre lei accarezzava i suoi capelli ricci. La lingua affondava e copriva quella di Bea, con colpettini ora forti ora meno forti che la mandavano in estasi. Provava a concentrarsi sul piacere, ma non sapeva da dove veniva esattamente quella vita che aveva dentro da qualche parte. Sentiva la vagina aprirsi, pronta per accogliere Mario in sè.

Mario le tolse la camicetta ed iniziò a palparle il seno. Le mani grandi e ruvide non la intimorivano; prendeva le tettine nelle mani come se tenesse un uovo appena preso nel pollaio del suo paese. Bea aprì il reggiseno, mentre l'uomo sentì indurirsi i capezzoli nelle mani, come se un ago volesse provare a pungere i palmi duri. La gonna voleva scappare dallo sfregamento dei due bacini, così Bea aprì la cerniera laterale: Mariò sentì il rumore della zip, l'ennesimo bagliore nel buio, ed iniziò a svestire la donna. La gonna scivolò via dal letto, come se non volesse disturbare i due. Bea sentì il perizoma sfondarsi, era quasi pronta a venire ma voleva trattenersi ancora un pò: amava quella sensazione di calore tutt'intorno alla vagina rasata mentre il resto del corpo sudava.

L'uomo iniziò a carezzargli le natiche, premendo giù in modo da far aderire quella fica ormai umida ai bottoni dei suoi jeans: voleva scoparla ora e subito, ma si lasciava trasportare dalla donna, eccitata come ogni volta.

Dopo un pò, Bea si mise dritta con il busto ed affondò le mani sotto la maglietta di Mario, e lo accarezzò: era il gesto che serviva a fare capire all'uomo di aprire la sua cerniera e mostrarle il cazzo turgido e dritto. E non si fece attendere questo gesto: in un attimo slargò i bottoni, ed usci la sua grossa mazza dai boxer, anche se ciò gli stringeva i testicoli portandogli un pò di fastidio.

Appena lei lo vide sorrise come in preda ad una crisi nervosa: adorava quel cazzo che le si presentava dritto come una torre in una collina.
Si tirò un pò indietro, e si chinò. Odorò quel sesso rosa, la cappella tonda che si stagliava in alto a puntare la bocca di lei.
Prese l'uccello in mano e cominciò a carezzarlo come fosse un bambino, provò a stringerlo ed iniziò a succhiarlo.
Con la lingua amava fare dei circoletti attorno al glande, ma capiva che Mario era ancora stretto.

Soffiò nel prepuzio, gli nascose il pene nei boxer, si alzò e tirò via i jeans di Mario. Alla vista di quella mazza che divideva diagonalmente in due parti i boxer neri riuscì a trattenersi un istante, il tempo necessario di mettergli le mani all'altezza media delle natiche sode e muscolose ed abbassare quei boxer: il cazzo fuoriuscì turgido come prima e dritto come una lama.

Bea si distese di nuovo, ma stavolta iniziò a succhiare verace: non voleva lasciarne un poro che non fosse stato umidito prima dalla sua lingua soddisfatta. Mario gemeva, provava a farle uscire la mazza dalla bocca in modo da prendere Bea e scoparla a dovere. La donna, invece, preferiva immobilizzare quei diciannove grossi centimetri di carne tra le sue manine candide, dalle unghia non smaltate, ed incatenarlo nella sua lingua da vipera.

La donna conduceva il gioco, Mario preferì toccarle i capelli e sentirseli scivolare nelle mani, mentre lei succhiava affamata.

All'improvviso Bea si fermò. Guardò Mario negli occhi. Voleva regalarle un'emozione mai provata sinora da nessuno dei due.
Come una gattina bianca, nel suo completo di collant bianchi, si girò. Diriesse la fica in direzione della lingua di Mario, che capì.
La donna si fece indietro e si chinò sul cazzo. Riprese a succhiare, mentre lui le mangiava la vagina.
Erano una sola ostrica di piacere, due corazza che stringevano due perle.

"Piano piccola, o vengo..." riuscì a sospirare Mario.
Quell'idillio durò poco, finì nella voglia.

Mario si alzò con il busto, si tirò indietro con i gomiti e fermò Bea che stava alzandosi. La costrinse a girarsi verso la toeletta, al centro dello specchio, lasciandola in quella posizione da gatta in calore.

I due si videro come ombre nello specchio, ma non serviva vedersi per sapere com'erano le loro facce in quell'istante.
Mario si chinò ed inizio a gustare nuovamente il collo, stavolta in ogni angolo di pelle.
Bea non ce la faceva più, scappò dalla lingua di Mario e si abbassò iniziandosi a masturbare la fica rasata e rossa.
Mario capì, si tirò indietro e portò la sua mascella con la barba di un giorno sulla vagina di Bea.
Le tolse le dita.
La odorò.
Ed iniziò a leccare.

Subito, Bea godette, e macchiò di bianco la punta della lingua di Mario.

Adesso era pronta a farsi scopare.
Mario era pronta a fotterla.
Così, da dietro.
Così, davanti lo specchio.

Prese il cazzo in mano, mentre Bea si poggiò sui gomiti.
"Tutto...ora...dentro..." disse ansimando.
E sapeva che toccando il letto con i gomiti, il cazzo l'avrebbe penetrata per intero.

Mario le allargò un pò le cosce ed iniziò a penetrarla.
Un colpo dolce, leggero, come una carezza sulle labbra.
Un altro più forte, come un dito nelle labbra.
Un altro ancora più forte.
E la mazza fu dentro la fica, le grandi labbra ad accoglierla festevole.

Iniziò a spingere.
Un urlo di Bea. Un sospiro. Ed un altro, un altro dopo.
Godeva, godeva.
Era pazza di gioia, a sentire le mani di Mario che le cingevano i fianchi e la conducevano al suo cazzo.

Mario sembrava volersi fare inghiottire da quella vagina aperta.
La portava al suo bacino con forza.
Un colpo che la faceva urlare. E sospirare. Ed ancora un sospiro, ed un altro dopo.

Continuarono così, assorbendo i loro sessi vicendevolmente.
Mario tirò indietro il collo, Bea captò questa sorta di implosione: stava per venire il cazzuto calabrese.
Iniziò a stimolarsi furiosamente la clitoride. Mario rallentava i colpi. Voleva sentire il suo sesso immerso ancora in quello di lei.
Lei continuava a toccarsi quel centimetro che sembrava il nucleo di un atomo di uranio pronto a scoppiare.
Mario era sfinito ma la fotteva, non voleva perdersi un centimetro di parete vaginale.

"ai...io...si...vengo..." biascicò la voce della donna.
Mario tirò via il cazzo e si alzò.
Giusto il tempo inondare la schiena sudata di Bea con un succo denso di bianco e di calore.
"Si.....ah...." urlò Mario, e si avvicinò alla schiena di Bea come un cavaliere morente alla sua spada.

Bea si girò, si toccò la schiena e prese una goccia di liquido.
Si dissetò mentre lo fissava negli occhi.
Mario chinò la testa verso di lei.
Sorrise, la baciò.

Si guardarono un altro istante.
Si abbandonarono.

Scesero dal letto.
Entrambi ai lati opposti.

Si pulirono velocemente.
Si rivestirono.

Mario si diresse da lei.
Le prese la mano e glielà baciò.

"Bedda...bedda sei, je ccalda cumu lu suli di la Calabbria."
"A presto...", disse lei, sapendo che presto era al più tardi domani sera.

Uscì da casa di Mario, che restò al ciglio della porta.
Si diresse frettolosa sul vicolo a sinistra, verso casa.
Erano quasi le undici.

"E se Donatella fosse già a casa?", pensò affrettandosi di arrivare.
Dritto per il vicolo, seconda via a sinistra e subito la prima traversa a destra.

Arrivò in casa.
La serratura era chiusa.
"io...pensò...non è tornata..." ed entrò in casa.

Pensò alla sua parte di mammina perfetta, vedova scontenta ma forte, che quella sera avrebbe ordinato una pizza da consumare da sola.
areanotturna
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K+ 6 | K- 9
Mentre copiavo&incollavo questo racconto, ho googlato un pò e ho scoperto che tale NicoDevi mi ha rubato la prima parte, e l'ha pubblicata su un forum che tratta di pokemon. Vi assicuro comunque che è farina del mio sacco.