Quanto tempo passa? Non lo so. Un attimo, un’eternità.
Lo sfregarsi dei corpi sul tappeto, sul caldo tappeto persiano di lana, nella calda afosa notte ha mischiato i nostri sudori, i nostri profumi. Le carezze non asciugano le gocce che scivolano sul corpo.
Con un sospiro mi blocca, rallenta il mio ritmo, mi stringe a sé avvolgendomi strettamente con le gambe incrociate sulla mia schiena.
Il mio affanno si placa, il pene pulsa, il battito ritmato del mio cuore sul suo accogliente e caldo petto rallenta. Mi sfilo, mi stendo di fianco a lei. Volta il suo viso verso di me, mi prende la testa tra le mani, mi bacia la fronte, il naso, la bocca. Si ferma dolcemente sulle mie labbra. Le mordicchia ed ansima mentre le mie mani cercano le sue labbra, le grandi labbra.
Ride. Un riso cristallino e si volta verso il video. Si gira col corpo e si mette carponi. Mi guarda con uno sguardo malizioso, i seni si spingono in avanti quando inarca il petto ed il sedere, abbassando il bacino. Punta le dita dei piedi sul tappeto, ne alza uno, lo stira e lo piega a chiamarmi. Come un’animale femmina attira nelle sue spire l’animale maschio.
La pianta del piede che si raggrinzisce e si alliscia sono un richiamo irresistibile. Le giro attorno, mi pongo dietro di lei, le lecco il piede, le annuso la passera. Lei è in estro e io aspetto il momento giusto per montarla.
E il momento arriva. Mi chiama muovendo le natiche ritmicamente. La copro. Il suo volto è ormai trasfigurato, questa volta non mi fermerà. I suoi occhi sono fissi sulle immagini del video che scorre ma la sua mente è lontana, persa nell’universo dei sensi.
La cingo e le tengo i fianchi, mi piego e cerco di aggrapparmi ai suoi seni, di aggrapparmi ai capezzoli turgidi. Non ci riesco. Mi rialzo in una posizione più naturale. L’ampiezza dei colpi, il ritmico entrare ed uscire dell’asta provocano il tipico rumore, buffo rumore come di aria che esce da un palloncino. Ma niente può distrarci.
Ed infine l’esplosione. Una lunga esplosione. Lei sospira, con un gemito strozzato. Il gemito di chi vuole ritenere il piacere fino all’ultimo. Sono spossato, mi sdraio su di lei. I suoi larghi fianchi,il suo equilibrio perfetto mi sostengono.
Quanto tempo passa? Non lo so.
Il mio lui è ormai comodamente allocato nella sua lei. Lo sfilo ed ancora il buffo rumore ci fa sorridere. Con la mano cerco di trattenere lo sperma che esce.
Lei torna lucida, professionista di un mestiere che sa ben esercitare. Si rialza veloce, prende i fazzoletti che ha posto sul tavolino, si asciuga e tampona e corre veloce in gabinetto.
Il rumore dell’acqua che scorre mi accarezza le orecchie misto al respiro che pian piano si fa regolare. Quando torna, con un largo sorriso mi indica che è giunto il mio turno.
Non ho fretta, sento che anche lei non ha fretta, sento che qualcosa di nuovo si sta facendo largo nel mio petto e nel mio cervello. Qualcosa che devo controllare, qualcosa di antitetico tra il cuore ed il cervello.
Lentamente uno dei due sentimenti prende il sopravvento.
Sono tornato freddo. Sono tornato l’”io” che sono da anni. Cerco quali parole devo pronunciare, cosa devo dirle, come distaccarla dalla mia pelle a cui è ancora attaccata. In cui è penetrata.
Ritorno in salone. Lei è seduta sul divano, con le gambe ancora incrociate e i gomiti sulle ginocchia. Il seno, l’ampio, largo seno, scende per la forza di gravità verso il basso. I capezzoli sono ora meno grossi. Si odono solo i mugolii delle instancabili tedesche che lavorano il lungo e stretto palo dell’attore.
Non faccio rumore, ma Miryam mi sente. Non c’è bisogno di far rumore per percepire la presenza di una persona che ci interessa. Volta la testa, mi fa gesto con la mano, l’appoggia di fianco a lei sul divano: “Sièntate aquì…”
Non è un ordine, è un dolce richiamo. Lei è nuda, io sono nudo. La mia sicurezza, la mia falsa sicurezza si scioglie all’istante. Mi scopro debole. Un senso attonito di impotenza si impadronisce della mia anima. Dove sono? Dove sto andando? Cerco di pensare ad altro, mi aggrappo alle immagini familiari che vedo sui mobili, appese alle pareti, nelle vetrinette della sala.
Lei è tornata a guardare il video, ha stretto la lingua tra le labbra. Appena tra le labbra. La punta esce dalla bocca. Sospira. Senza fissarmi negli occhi appoggia la sua mano sul mio pene, lo stringe, inizia a muoverla ritmicamente su e giù. Su e giù. Su e giù.
Non voglio, non posso… ma non la fermo. Mi esce solo dalla bocca un: “Oh… Dio mio…”
Mi lascio andare, si lascia andare. Le cresce tra le mani, piega la testa, lo prende nella sua bocca.
E’ calda, ho gli occhi chiusi, sento la saliva che si unisce al liquido spermatico, intuisco che una sua mano è impegnata col suo clitoride. Unisce il respiro affannoso a quello di piacere che le sale dal ventre. Su e giù. Su e giù. Su e giù. Come un pescatore che sale in superfice a riprendere fiato prima di rituffarsi nel profondo alla ricerca della preda.
Su e giù. Su e giù. Su e giù… fino all’esplosione. Fino all’esplosione che le inonda la bocca, che unisce i suoi mugolii, i suoi lunghi mugolii al mio mugolio. Il suo ultimo, strozzato, mugolio al mio ultimo, roco, mugolio.
Quanto tempo è passato? Non lo so, non lo sappiamo.
Sappiamo solo che il silenzio domina il ritorno. Ho abbeverato le piante, mi sono abbeverato, ci siamo abbeverati di un sentimento nuovo. Un sentimento che ora capiamo non avrà che lo spazio di una notte. Il suo sguardo, nel bagno, davanti allo specchio mentre si rassettava me lo ha fatto intuire.
E il silenzio del ritorno, col suo sguardo fisso verso un punto lontano fuori dal finestrino, con la mano a stringere il mento e coprire la bocca, seduta di lato con le gambe unite sul sedile, vale più di mille parole. Le piante nude dei suoi piedi scalzi, le sue scarpe sono una sull’altra sul tappetino, mostrano ora la stanchezza della fatica passata. Non mi parlano più, sembrano anch’esse cercare di voltare pagina.
Non ci siamo detti niente. Mi ha solo chiesto di portarla a casa.
Ora la vedo nell’albeggiare del giorno rimettersi le scarpe con un gesto contrario a quello con cui se le era tolte, appoggiata alla portiera dell’auto.
Un vuoto, sento un vuoto dentro di me. Il suo viso ha perso tutta la sua luminosità. Il suo sorriso ha perso tutta la sua ampiezza. Non so cosa dirle. Sono uno scemo, vado in panico in certe situazioni: “Ah… senti…” e goffamente faccio per portare la mano alla tasca dei pantaloni.
Lei capisce, capisce il mio imbarazzo e per un attimo torna quella che è stata. Mette il dito indice davanti alla bocca. Dritto davanti alla bocca mentre le sue labbra si stringono in un sussurro prolungato. I suoi occhi mi parlano. Mi sgridano dolcemente. Un lampo nei suoi occhi mi chiede di non insistere.
Un sussulto, un ultimo sussulto: “Nos vemos, Miryam?”
“Tal vez… en otra vida… tal vez…”
Mentre si gira mi pare di vedere una lacrima rigarle il viso.
Quando riparto un vuoto, sento un vuoto dentro di me…
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