L’auto scivolava fendendo l’aria appiccicosa dell’afoso pomeriggio, il Naviglio Pavese lacrimava acqua verde per la grassa campagna, ed io, prigioniero nell’abitacolo cercavo di immaginare come fosse fisicamente Livio, così, tanto per distrarre i chilometri dalla stanchezza.
Non fu facile uscire dal nero forum per incontrare l’amico virtuale, ma questa era un’occasione particolare, lo gnoccaforumista era al San Matteo di Pavia per una cura sperimentale.
Livio: “ Pronto, allora? Mi lasci qui solo con i vivisettori?”
“Arrivo, arrivo, ti porto anche una sorpresa, vedrai, ti piacerà”
La sorpresa era Marina, un’amica comune che Livio amava moltissimo, passarono intere notti a chattare su facebook senza mai conoscersi di persona. Marina è stata fortunata, se fosse nata qualche anno prima le avrebbero offerto un soggiorno coatto in manicomio. Marina è: sensibilissima, ipocondriaca, ansiosa, maniaco-depressa, paranoica; ma è anche una cosa che ti uccide: Marina è vera.
“Pronto? Dove sei? Mi sono persa”
“Figurati, cazzo Marina! Ti ho detto che venivo a prenderti, ma tu no, dove sei adesso?”
“Lo so, è che non voglio dar fastidio, non so, qui è tutta campagna e non c’è anima viva”
“Ti aspetto ancora dieci minuti all’entrata principale, poi entro, tanto il reparto sai qual è”
L’antico ospedale conserva la stessa struttura degli anni trenta, entrando nel cortile assolato sembrò che il tempo si fosse fermato, padiglioni da ventennio fascista come obesi simulacri giacevano nell’immenso spazio, ebbi paura per Marina, che tra le altre cose è anche agorafobica. Ero in anticipo, il reparto per le visite era ancora chiuso, mi affacciai alla finestra per scorgere la nostra amica, la vidi e le feci un cenno, non mi riconobbe.
“Ce l’hai fatta. Stai bene?”
“Eh? Sì, ciao, sto bene? Sono a posto?”
“Ma sì, hai sempre il tuo fisichino. Siamo in anticipo, vado a prendere da bere, aspetta qui”.
Tornai dopo cinque minuti e… Marina? Sparita! Le porte elettriche si aprirono, entrai in reparto.
Nella stanza quattro letti, quattro degenti, individuai subito il “mio”.
Un uomo dallo sguardo intelligente e dal sorriso aperto mi fissava. Con gli occhialini alla Woody Allen era irresistibile, corsi ad abbracciarlo: “Ciao amore mio”, furono queste le sole parole che mi uscirono, suscitando la giustificata ilarità di sua moglie seduta accanto al letto.
Livio:” Ti facevo più alto, comunque sei belloccio”
Io: “ Sì? Io ti facevo meno stronzo, comunque sei sopportabile”
Livio: “Questa è mia moglie”
Io: “Piacere di conoscerla, lei è troppo bella per Livio, lo lasci subito”
Scoppiammo a ridere. Bevemmo noi stessi a piccoli sorsi, fu tutto un toccarsi, sfiorarsi, guardarsi; ogni cosa sottintesa, fu adamantino e semplice come tutte le bellezze della vita. Avevamo creato una vera amicizia. Che strano, che bizzarro, che meraviglioso evento, così raro e così prezioso.
“Ma scusa, e la sorpresa dov’è?” Fece Livio incuriosito.
Solo allora mi ricordai di Marina. “Oh cazzo! Aspetta, mi sa che l’ho smarrita”. Così, corsi alla ricerca del diamante pazzoide.
Chiesi in giro ma niente, al cellulare non rispondeva, come era possibile? Scesi giù prendendo le scale e … “Marina, ma che cazz?”, era stesa sulle scale con i gradini conficcati nella schiena, aderente al suolo come un red carpet.
“Ho avuto un attacco di panico, non posso farcela”, disse bianca come un lenzuolo appena steso.
“Sì che puoi, muovi le belle chiappette, abbiamo poco tempo, soprattutto per queste cazzate”. La alzai di peso e come un mulo degli alpini portai il suo bel ma pesante corpo al fronte, là dove era viva l’azione.
“Conosci qualcosa in latino?”
“Sì, perché? Cosa vuoi fare?”, disse Marina sempre più inquieta.
“Niente, tu stammi dietro e recita qualcosa in latino, ad alta voce”.
Presi la madonna in gesso dal corridoio, una vecchietta in preghiera se la vide soffiare da sotto il naso. Entrammo in stanza da Livio in processione, con la mano destra benedissi gli astanti. “Marina, vai, fatti un giro tra i letti, vai di questua”, dissi io con risolutezza.
“No dai, non farmi fare questo, è troppo”
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ai cazzo! Stiamo perdendo tempo, vai maledetta!” , così dicendo le diedi un pizzicotto fortissimo nella parte interna del braccio che ottenne il suo effetto.
Livio piangeva dal ridere, la moglie imbarazzatissima cercava di scusarsi con i parenti dei moribondi che condividevano la stanza. Raccogliemmo due euri.
Ci demmo appuntamento il giorno successivo fuori dall’hotel dopo le dimissioni, stavolta solo io e lui.
Seduti al tavolino di un anonimo bar bevemmo un miscuglio di un alchimista pazzo, cercavamo entrambi di dare una concretezza fisica ai pensieri espressi per anni in chat, provavamo ad assorbire come sabbia la gioia delle nostre amate discussioni.
“Hai pensato a tutto?”
“Sì”
“La casa?”
“Sì”
“I risparmi? I soldi per l’università di tua figlia?”
“Sì”
“Hai pensato...”
A questo punto fui interrotto bruscamente: “Sicuro che non lavori all’Agenzie delle Entrate?”
“Scusa Livio, sono apprensivo, mi sembra tutto così strano, stai qui, davanti a me, vorrei fermare il tempo”, mentre parlavo cercai di non guardarlo negli occhi.
Andammo a mangiare una pizza a Vigevano, e poi, a bere un altro miscuglio di schifo nella fantastica piazza Ducale. Qui Livio fece conoscenza con un gruppo di ragazzi seduti accanto a noi, con il suo accento non proprio lombardo sembrava uscito da un film di Sordi, anzi, era proprio l’Albertone nazionale. Le ragazze del gruppo erano divertite e catturate dalla dolce simpatia del forestiero.
“Cosa ci faccio alle donne, eh, vuotino?”
“Non lo so, fisicamente stai tra l’orribile e il marcescente, forse percepiscono che sei verace”
Sorrise con l’espressione da bimbo soddisfatto. In silenzio osservammo l’umanità esistere ignara del nostro sordo dolore.
L’aria serena estiva ci spinse in una gelateria desolatamente vuota, dietro il banco una bella ragazzina sui vent’anni, la tempestammo di complimenti, più o meno signorili.
“Scusa eh, lo so che preferiresti diventare rossa per qualche coetaneo e non per due vecchietti in zona Viagra”.
“No, anzi, siete molto simpatici, ce ne fossero di clienti così, ma non siete di Vigevano, vero?”
“No, io napoletano emigrato per vivere a Milano, il mio amico del Lazio emigrato per sopravvivere a Pavia, ma ho idea che entrambi abbiamo sbagliato meta”. La ragazza giustamente non capì, però gentilmente abbozzò un sorriso non spedito.
“Mi porti a zoccole?”
“Ma ce la fai?”
“Non so, non credo, ma posso sempre leccare, daje!”
Girammo nell’oscurità per un’ora tra risaie e risate, ma di signorine neanche l’ombra.
“Non funziona l’aria condizionata?”
“No, abbassa il finestrino e metti fuori il braccio, senti che arietta …”
“Sì, però me sto a pralinà la mano de zanzare! Ma allora ste fiche? Vuotopieno de qua, vuotopieno de là … oh, ma sto mito del forum? Sicuro che non te le sei inventate tutte le recensioni?”
“Eh, che devo dirti? Pisciamo? Non sarà una sborrata ma almeno facciamo uscire qualcosa dall’uccello stasera”
Contemplammo la luna riflessa sulle acque delle risaie, il silenzio rotto solo dall’emozione e dallo scròscio dell’urina irrefrenabile sulla lucente campagna notturna.
“Ci credi nella vita dopo la morte?” Feci io conoscendo già la risposta.
“No, ma lo spero, è così bello vivere. Credo in questo momento, qui ora! Grazie vuotino, grazie anche per questo”, così dicendo mi accarezzò affettuosamente la spalla.
“Livio”
“Sì?”
“Ho l’impressione che tu ti sia pulito la mano, con la quale hai tenuto il cazzo … sulla mia camicia”
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ici? Ma no, non credo”.
Tre mesi dopo Livio riporrà tutti i rimorsi e i rimpianti in una vecchia scatola di biscotti. Verserà le ultime lacrime in un bicchiere, un sorso salato gli raschierà la gola per l’ultima volta. Mani femminili indugeranno sul corpo disperato annullando il dolore con carezze essenziali.
Planando sulle attonite esistenze ha illuminato, per un istante, la stanza vuota dei ricordi dove la solitudine strappa il non senso della vita.
Tutto ciò che scrivo è solo frutto della mia fervida fantasia.