In viale Toscana, provenendo dal Naviglio e procedendo verso piazzale Lodi, appena prima del semaforo in cui si incrocia via Ripamonti, aspetta Maria. Coordinate approssimative: 45.446231, 9.197767. A tarda ora, la corsia riservata alla svolta a destra consente di avvicinarla senza intralciare eccessivamente il traffico.
Mi dice di essere albanese e di avere 20 anni. Pare simpatica, certo è molto tranquilla, ma non sa raccontarmi grandi cose perché non conosce la lingua. In compenso mi ripete mille volte “che freddo”.
Offre il boccafiga coperto a casa sua per 50 marenghi, la soluzione per la quale la arruolo. L’alternativa era un accredito di 100 per avere l’orale preliminare scoperto, ma senza possibilità di venirle in bocca: non ho neanche intavolato la contrattazione perché la base di partenza era troppo esosa per me. Non dà il culo. Non mi è parsa propensa alla consumazione in macchina ma, come ho detto, non è stato facile capirsi.
È alta circa 1,65, longilinea, tonica, viso la cui forma ellittica è evidenziata dal giro dei capelli castani lunghi raccolti, carino ma sminuito nel suo potenziale fascino da un’espressione smarrita, quasi imbambolata, che non la abbandona mai. La cosa che si nota di più sono le gambe, non delle gambe tornite, bensì gambe magre ma di bel disegno, due colonnine che sorreggono un culetto perfettamente proporzionato, peraltro tutte in mostra anche in queste notti umide, da sopra lo stivale bianco di pelo fino all’inguine, senza calze. A casa scopro che ha una seconda di seno, carnagione scura, pelle piacevole al tetto e meno, in certi punti, alla vista perché un po’ segnata.
La casa è vicina, direi un 700 metri, e senza problemi di parcheggio. Consta di almeno una stanza da letto e di un bagno, di cui nella circostanza non ho saggiato l’attrezzatura perché venivo diretto da casa mia già sciacquato. Tutto dignitoso e pulito, stabile nella norma della zona, temperatura interna gradevole appena accende il caminetto elettrico, luce bianca quasi tagliente che un’eventuale prossima volta le chiederei di abbassare.
Ci spogliamo, lascia che le tolga io il reggiseno, si struscia un attimo, senza problemi si fa toccare le tette e leccare i capezzoli, che si induriscono, mi ricambia con qualche toccatina. Non occorre altro al sursum corda e si comincia con il pompino protetto, lei seduta sul letto, io in piedi: trattamento sensibile ma elementare e ripetitivo. Passiamo alla penetrazione. La figa è depilata, con qualche millimetro di ricrescita, e strettina. Certo non mi dispiace trovare quella che non si è ancora ciulata tutta Milano, però se si aggiunge il fatto che lei è ancora impacciata diventa un problema: incontro resistenza, il mio uccello a tratti si sente respinto. Ad un certo punto le chiedo io di usare il lubrificante che ha a portata di mano e così possiamo riprende e concludere con soddisfazione. In compenso mi asseconda nella posizione che desidero, la pecorina inginocchiati sul letto e poi con lei sdraiata sulla pancia. Aiuta anche passandosi la mano dietro e solleticandomi lo scroto. Però devo dire che la sua partecipazione è nulla (cosa che ovviamente concorreva al difficile ingresso) e non la simula.
In sintesi, scopata normale, a tariffa ragionevole, con una ragazza disponibile che due cose rendono attraente: il fisico asciutto da fighetta ventenne, che già in strada non passa inosservato; gli impacci da principiante. Tutto infatti testimonia che è alle prime armi. Ha lì il lubrificante e non lo usa finché non glielo propongo io. Dalla vita in giù è molto provocante, fra stivali bianchi, gambe scoperte e una sorta di culotte di pelle/similpelle sopra le mutande, mentre si copre il busto con una felpina blu da tuta con cerniera e tasche per le mani infreddolite che stona con il resto. Sta in strada senza calze, tanto che aveva la pelle d’oca e in macchina mi teneva la mano anche per riscaldarsi, e si lamenta del freddo. La comunicazione stentata, poi, accresce il senso di tenerezza che ispira. Le chiedo perché non mette le calze e mi risponde “così lavoro” (come se le sue gambe potessero sfigurare con un bel paio di calze nere eleganti o, meglio ancora, volgari). Le domando se può tenere gli stivali durante i preliminari; si duole “io male” e scopre il malinconico pedalino di spugna. Prima di uscire si rinfresca davanti allo specchio pettinatura e rossetto, dicendo: “così bella”. Riaccompagnandola compio un paio di imprudenze alla guida e commenta: “così paura”. Insomma, è a tal punto disarmante che mi fa dimenticare quello che ancora non sa fare, cerco di incoraggiarla e apprezzo la sua semplicità.
Mi dice di essere albanese e di avere 20 anni. Pare simpatica, certo è molto tranquilla, ma non sa raccontarmi grandi cose perché non conosce la lingua. In compenso mi ripete mille volte “che freddo”.
Offre il boccafiga coperto a casa sua per 50 marenghi, la soluzione per la quale la arruolo. L’alternativa era un accredito di 100 per avere l’orale preliminare scoperto, ma senza possibilità di venirle in bocca: non ho neanche intavolato la contrattazione perché la base di partenza era troppo esosa per me. Non dà il culo. Non mi è parsa propensa alla consumazione in macchina ma, come ho detto, non è stato facile capirsi.
È alta circa 1,65, longilinea, tonica, viso la cui forma ellittica è evidenziata dal giro dei capelli castani lunghi raccolti, carino ma sminuito nel suo potenziale fascino da un’espressione smarrita, quasi imbambolata, che non la abbandona mai. La cosa che si nota di più sono le gambe, non delle gambe tornite, bensì gambe magre ma di bel disegno, due colonnine che sorreggono un culetto perfettamente proporzionato, peraltro tutte in mostra anche in queste notti umide, da sopra lo stivale bianco di pelo fino all’inguine, senza calze. A casa scopro che ha una seconda di seno, carnagione scura, pelle piacevole al tetto e meno, in certi punti, alla vista perché un po’ segnata.
La casa è vicina, direi un 700 metri, e senza problemi di parcheggio. Consta di almeno una stanza da letto e di un bagno, di cui nella circostanza non ho saggiato l’attrezzatura perché venivo diretto da casa mia già sciacquato. Tutto dignitoso e pulito, stabile nella norma della zona, temperatura interna gradevole appena accende il caminetto elettrico, luce bianca quasi tagliente che un’eventuale prossima volta le chiederei di abbassare.
Ci spogliamo, lascia che le tolga io il reggiseno, si struscia un attimo, senza problemi si fa toccare le tette e leccare i capezzoli, che si induriscono, mi ricambia con qualche toccatina. Non occorre altro al sursum corda e si comincia con il pompino protetto, lei seduta sul letto, io in piedi: trattamento sensibile ma elementare e ripetitivo. Passiamo alla penetrazione. La figa è depilata, con qualche millimetro di ricrescita, e strettina. Certo non mi dispiace trovare quella che non si è ancora ciulata tutta Milano, però se si aggiunge il fatto che lei è ancora impacciata diventa un problema: incontro resistenza, il mio uccello a tratti si sente respinto. Ad un certo punto le chiedo io di usare il lubrificante che ha a portata di mano e così possiamo riprende e concludere con soddisfazione. In compenso mi asseconda nella posizione che desidero, la pecorina inginocchiati sul letto e poi con lei sdraiata sulla pancia. Aiuta anche passandosi la mano dietro e solleticandomi lo scroto. Però devo dire che la sua partecipazione è nulla (cosa che ovviamente concorreva al difficile ingresso) e non la simula.
In sintesi, scopata normale, a tariffa ragionevole, con una ragazza disponibile che due cose rendono attraente: il fisico asciutto da fighetta ventenne, che già in strada non passa inosservato; gli impacci da principiante. Tutto infatti testimonia che è alle prime armi. Ha lì il lubrificante e non lo usa finché non glielo propongo io. Dalla vita in giù è molto provocante, fra stivali bianchi, gambe scoperte e una sorta di culotte di pelle/similpelle sopra le mutande, mentre si copre il busto con una felpina blu da tuta con cerniera e tasche per le mani infreddolite che stona con il resto. Sta in strada senza calze, tanto che aveva la pelle d’oca e in macchina mi teneva la mano anche per riscaldarsi, e si lamenta del freddo. La comunicazione stentata, poi, accresce il senso di tenerezza che ispira. Le chiedo perché non mette le calze e mi risponde “così lavoro” (come se le sue gambe potessero sfigurare con un bel paio di calze nere eleganti o, meglio ancora, volgari). Le domando se può tenere gli stivali durante i preliminari; si duole “io male” e scopre il malinconico pedalino di spugna. Prima di uscire si rinfresca davanti allo specchio pettinatura e rossetto, dicendo: “così bella”. Riaccompagnandola compio un paio di imprudenze alla guida e commenta: “così paura”. Insomma, è a tal punto disarmante che mi fa dimenticare quello che ancora non sa fare, cerco di incoraggiarla e apprezzo la sua semplicità.