(Cit. Beatles, Strawberry Fields Forever)
Stanotte i pensieri si rincorrono come gatti in strada: danza regolare nella mia mente.
Sento ancora le voci nel cortile di scuola, conservate nella mia anima urlano il diritto a non cadere nell’oblio.
Entrando dalla gigantesca porta si scorgeva la regale scala che portava alle classi di terza, il pavimento lucidissimo pareva fatto proprio per causare danni fisici permanenti alla prima caduta.
Pietro il bidello, un corpulento e sanguigno toscanaccio, sembrava fosse capitato lì per caso, trasportato da un’altra dimensione contro la sua volontà, malediva ogni giorno tutti gli alunni all’ingresso, ad ogni alunno una maledizione.
L’istinto di cucire il tempo mi porta a stare lontano dalla mente razionale, stare nudi e non sentire più le vertigini delle prime volte, la prima volta che una bambina mi guardò, ricordo la sua faccia, la rivedo in ogni lacrima non versata.
Le luci al neon illuminavano con strani bagliori le facce assonnate dei miei compagni, lo stupore del mattino ci sorprese con la prima neve dell’anno.
Come cagnolini distratti ci affacciamo alle finestre per guardare il roboante silenzio del candido manto formatosi, la professoressa stizzita ci ordinò di sederci non cogliendo la magia estatica dell’attimo, è cresciuto troppo in fretta il suo ruolo istituzionale nella vita.
“Se potessi parlerei a ciò che eri, ma mentre ti guardo il momento è già finito”.
Il banco in fòrmica posizionato strategicamente non troppo vicino alla cattedra, porta le cicatrici di altri bambini che mi hanno preceduto: “Luca ama Sara”. Scritto sperando che lei svogliatamente se ne accorgesse, come se non fosse amore, come quando alla radio passano la tua canzone, per errore del caso.
L’odore della gomma da cancellare Pelikan, la colla Vinavil o la Coccoina, le plastiche che ricoprivano i quaderni, l’odore meraviglioso dei libri nuovi, sono stati i primi e gli ultimi trip, cancellando e incollando ora la voglia di studiare ora uno sguardo verso le affusolate gambe della professoressa di matematica; che resta di un ricordo se oggi non provassi lo stesso imbroglio?
Tra educazione tecnica e lettere, Viviana si gira volgendo verso di me per un secondo i suoi occhi blu, ho aspettato 6 mesi per contraccambiare la stessa attenzione, in gita a Firenze, mentre lei baciava un ragazzo più grande.
Quando vuoi quello che non sei te, cambi la vita che ti ha deluso.
Consolai le mie pene d’amore ciucciando nervosamente la matita e la mia Bic nera, il suo cappuccio lo feci diventare un mozzicone di plastica. –“ Maniacalmente , riprovo a scrivere ancora con la penna 4 colori, ma tutti insieme”.
Il provocatore, il disturbatore, il bullo, il bello, il primo della classe e il disadattato, elementi estranei pronti a collidere esplodendo, ma che una palla di carta tenuta insieme con lo scotch, durante l’intervallo, univa, trasformando la piccola aula della classe 2^G nel Meazza, con tanto di pubblico femminile a tifare.
Il sole caldo permetteva la ginnastica in cortile, tra spriragli di primavera i nostri corpi danzavano sgraziatamente contro le leggi della fisica, il professore sputava a terra la sua triste vita senza guardarci, ognuno di noi pensava: “ Io vivo di emozioni che tu hai dimenticato”.
Cominciai a pormi domande sull’esistenza del destino quando la prof. di inglese scorrendo con l’indice l’elenco del registro, beccava me che ero l’ultimo, insieme al primo i cognomi più visibili, in mezzo, la massa da castigare a occhi chiusi, uno vale l’altro, ma io ero meta fissa per l’interrogazione.
La palpata al culo andava fatta a mano aperta, centrale, netta e precisa, in modo da poter prendere anche parte della fica, questo ci insegnava Leonardo, un pluribocciato decorato al valore :” Dopo, scappate immediatamente, la reazione della compagna sarà certamente un schiaffone pesantissimo , quasi sempre sulla schiena mentre fuggite”.
Le ragazze erano classificate in base alla risposta più o meno violenta e alla bellezza; più la risposta era blanda più tempo si poteva palpare, più era figa più mazzate si potevano incassare di buon grado.
La merendina pallida e molliccia mi supplicava di mettere fine alla sua triste esistenza, spesso, la facevo a pezzi, offrendola a chi non portava MAI la propria da casa; questi, spiluccando dai compagni le pizzette bisunte sarebbero diventati portatori sani di ipercolesterolemia da adulti.
Quando si veniva alle mani, non era mai una cosa violenta, ci si accapigliava, sembrava più una lotta greco-romana, piccoli capannelli di ragazzotti facevano il tifo incitando l’uno e l’altro, arrivava il bidello e divedeva il groviglio, visi arrossati e teste scapigliate si promettevano eterna vendetta, per far pace dopo 10 minuti giurandosi eterna amicizia.
Pietro il bidello per non far torto a nessuno, schiumando come un mastino:”Maledetti figli di una cagna impestata, maledetti!”
I bambini più isolati e soli erano i più studiosi, erano banditi da quasi tutti i giochi, marchiati come possibili spie a favore dei prof., magicamente ci si ricordava di loro quando arrivava il fatidico compito in classe.-” Mi fai copiare Stefano?”- Stefano con un dolce sorriso acconsentiva, la speranza era di essere preso in considerazione quando si sarebbe organizzato il gioco della bottiglia con le femmine, aggiungendo subito dopo impaurito:”Mi raccomando, non copiare proprio uguale, sennò becca anche me”.
Avvinti nella tensione di un tempo che sembrava senza fine, aspettavamo i risultati.
Rimanemmo sospesi, con la saliva a metà strada, senza deglutire né sputare, i fogli affissi erano sentenze di condanna o assoluzioni, più che scrutini finali.
Gli occhi sbarrati verso un’estate libera e agognata o verso il baratro della oscura e infame bocciatura?
Quando Pietro li affisse in bacheca un’orda di nani barbari maleodoranti lo travolse, attimi infiniti di silenzio assordante, un lungo brusio e poi … l’esplosione orgasmica quasi totale: “ …evvaiiiiii, son passatoooo”.
Già, quasi, perché alcuni lucciconi si potevano scorgere anche dalle soffitte di Brera, erano le lacrime di Leonardo, il quale sarà licenziato contemporaneamente alla chiamata di leva.
“Anche quest’anno, i miei non mi regaleranno la Saltafoss”.
Consumandosi il tempo lascia passare emozionanti visioni, balenando in burrasca, nello stupore dei miei ricordi esso mi annichilisce.
Tutto ciò che scrivo è solo frutto della mia fervida fantasia.
Stanotte i pensieri si rincorrono come gatti in strada: danza regolare nella mia mente.
Sento ancora le voci nel cortile di scuola, conservate nella mia anima urlano il diritto a non cadere nell’oblio.
Entrando dalla gigantesca porta si scorgeva la regale scala che portava alle classi di terza, il pavimento lucidissimo pareva fatto proprio per causare danni fisici permanenti alla prima caduta.
Pietro il bidello, un corpulento e sanguigno toscanaccio, sembrava fosse capitato lì per caso, trasportato da un’altra dimensione contro la sua volontà, malediva ogni giorno tutti gli alunni all’ingresso, ad ogni alunno una maledizione.
L’istinto di cucire il tempo mi porta a stare lontano dalla mente razionale, stare nudi e non sentire più le vertigini delle prime volte, la prima volta che una bambina mi guardò, ricordo la sua faccia, la rivedo in ogni lacrima non versata.
Le luci al neon illuminavano con strani bagliori le facce assonnate dei miei compagni, lo stupore del mattino ci sorprese con la prima neve dell’anno.
Come cagnolini distratti ci affacciamo alle finestre per guardare il roboante silenzio del candido manto formatosi, la professoressa stizzita ci ordinò di sederci non cogliendo la magia estatica dell’attimo, è cresciuto troppo in fretta il suo ruolo istituzionale nella vita.
“Se potessi parlerei a ciò che eri, ma mentre ti guardo il momento è già finito”.
Il banco in fòrmica posizionato strategicamente non troppo vicino alla cattedra, porta le cicatrici di altri bambini che mi hanno preceduto: “Luca ama Sara”. Scritto sperando che lei svogliatamente se ne accorgesse, come se non fosse amore, come quando alla radio passano la tua canzone, per errore del caso.
L’odore della gomma da cancellare Pelikan, la colla Vinavil o la Coccoina, le plastiche che ricoprivano i quaderni, l’odore meraviglioso dei libri nuovi, sono stati i primi e gli ultimi trip, cancellando e incollando ora la voglia di studiare ora uno sguardo verso le affusolate gambe della professoressa di matematica; che resta di un ricordo se oggi non provassi lo stesso imbroglio?
Tra educazione tecnica e lettere, Viviana si gira volgendo verso di me per un secondo i suoi occhi blu, ho aspettato 6 mesi per contraccambiare la stessa attenzione, in gita a Firenze, mentre lei baciava un ragazzo più grande.
Quando vuoi quello che non sei te, cambi la vita che ti ha deluso.
Consolai le mie pene d’amore ciucciando nervosamente la matita e la mia Bic nera, il suo cappuccio lo feci diventare un mozzicone di plastica. –“ Maniacalmente , riprovo a scrivere ancora con la penna 4 colori, ma tutti insieme”.
Il provocatore, il disturbatore, il bullo, il bello, il primo della classe e il disadattato, elementi estranei pronti a collidere esplodendo, ma che una palla di carta tenuta insieme con lo scotch, durante l’intervallo, univa, trasformando la piccola aula della classe 2^G nel Meazza, con tanto di pubblico femminile a tifare.
Il sole caldo permetteva la ginnastica in cortile, tra spriragli di primavera i nostri corpi danzavano sgraziatamente contro le leggi della fisica, il professore sputava a terra la sua triste vita senza guardarci, ognuno di noi pensava: “ Io vivo di emozioni che tu hai dimenticato”.
Cominciai a pormi domande sull’esistenza del destino quando la prof. di inglese scorrendo con l’indice l’elenco del registro, beccava me che ero l’ultimo, insieme al primo i cognomi più visibili, in mezzo, la massa da castigare a occhi chiusi, uno vale l’altro, ma io ero meta fissa per l’interrogazione.
La palpata al culo andava fatta a mano aperta, centrale, netta e precisa, in modo da poter prendere anche parte della fica, questo ci insegnava Leonardo, un pluribocciato decorato al valore :” Dopo, scappate immediatamente, la reazione della compagna sarà certamente un schiaffone pesantissimo , quasi sempre sulla schiena mentre fuggite”.
Le ragazze erano classificate in base alla risposta più o meno violenta e alla bellezza; più la risposta era blanda più tempo si poteva palpare, più era figa più mazzate si potevano incassare di buon grado.
La merendina pallida e molliccia mi supplicava di mettere fine alla sua triste esistenza, spesso, la facevo a pezzi, offrendola a chi non portava MAI la propria da casa; questi, spiluccando dai compagni le pizzette bisunte sarebbero diventati portatori sani di ipercolesterolemia da adulti.
Quando si veniva alle mani, non era mai una cosa violenta, ci si accapigliava, sembrava più una lotta greco-romana, piccoli capannelli di ragazzotti facevano il tifo incitando l’uno e l’altro, arrivava il bidello e divedeva il groviglio, visi arrossati e teste scapigliate si promettevano eterna vendetta, per far pace dopo 10 minuti giurandosi eterna amicizia.
Pietro il bidello per non far torto a nessuno, schiumando come un mastino:”Maledetti figli di una cagna impestata, maledetti!”
I bambini più isolati e soli erano i più studiosi, erano banditi da quasi tutti i giochi, marchiati come possibili spie a favore dei prof., magicamente ci si ricordava di loro quando arrivava il fatidico compito in classe.-” Mi fai copiare Stefano?”- Stefano con un dolce sorriso acconsentiva, la speranza era di essere preso in considerazione quando si sarebbe organizzato il gioco della bottiglia con le femmine, aggiungendo subito dopo impaurito:”Mi raccomando, non copiare proprio uguale, sennò becca anche me”.
Avvinti nella tensione di un tempo che sembrava senza fine, aspettavamo i risultati.
Rimanemmo sospesi, con la saliva a metà strada, senza deglutire né sputare, i fogli affissi erano sentenze di condanna o assoluzioni, più che scrutini finali.
Gli occhi sbarrati verso un’estate libera e agognata o verso il baratro della oscura e infame bocciatura?
Quando Pietro li affisse in bacheca un’orda di nani barbari maleodoranti lo travolse, attimi infiniti di silenzio assordante, un lungo brusio e poi … l’esplosione orgasmica quasi totale: “ …evvaiiiiii, son passatoooo”.
Già, quasi, perché alcuni lucciconi si potevano scorgere anche dalle soffitte di Brera, erano le lacrime di Leonardo, il quale sarà licenziato contemporaneamente alla chiamata di leva.
“Anche quest’anno, i miei non mi regaleranno la Saltafoss”.
Consumandosi il tempo lascia passare emozionanti visioni, balenando in burrasca, nello stupore dei miei ricordi esso mi annichilisce.
Tutto ciò che scrivo è solo frutto della mia fervida fantasia.
) va bè che aravamo in 30 ..... 
ma allora facevo bene a fare la spia e farvi bacchettare dal prof. adesso mi ricordo di voi due, azzo che ignoranti che eravate e ignoravate anche le fichettine