Andrea Abelardo Antunes Coimbra Forrest Gump Stramaccioni, meglio noto come “Strama” dal giorno in cui Diego Milito gli dedicò un dribbling sbagliato con relativo avvitamento di caviglie, nasce a Roma il 9 gennaio 1976, su un blocco di marmo. Di famiglia umile ma cazzuta, il piccolo Andrea Abelardo Antunes Coimbra Forrest Gump s'appassiona da subito al giuoco del calcio grazie alla clandestina frequentazione di Corrado Orrico, che di lì a qualche anno il fato avrebbe voluto allenatore dell'Ambrosiana Inter. I genitori tentano senza esito di ostacolare quella pericolosa amicizia fatta di spinelli, Aldo Spinelli, canzoni di Piero Pelù, escavazioni e sovrapposizioni di blocchi di marmo, ma dati gli eccellenti risultati scolastici frutto di un'innata predisposizione per la matematica e le geometrie, abbozzano e fanno pippa.
Iniziato precocemente alle gioie del sesso, del fumo e dell'alcol (conosciute tutte in un’unica notte grazie a una prostituta russa di nome Hulk), Strama è già uomo di calcio a 10 anni, allorché si presenta al campo della Vigor Ladispoli con il volto insolitamente ricoperto di ispida peluria. E’ febbraio, il carnevale impazza, ma il burbero tecnico della scuola calcio Vigor Ladispoli Footbal Club è omofobo uomo d'altri tempi intollerante a quelle che lui chiama "frocerie". Con un colpo secco prova a strapparne la peluria pensandola posticcia. Un rigagnolo di sangue zampilla dal bulbo sotto al mento del piccolo Andrea. La sua è barba vera. Strama è già uomo. E un uomo di calcio, per quanto giovane, spesso è un uomo in pericolo.
Corre l’anno 1986, l’Argentina ha vinto i mondiali di calcio e l’entusiasmo popolare è alle stelle, ma la federazione, e ancora più in alto il governo, sanno che tutto ciò non può durare a lungo. Occorre programmare, per vincere ancora. Ondate di calciatori argentini dalla scarsa levatura tecnica invadono il vecchio continente pronti a riferire al governo patrio. L’obiettivo è chiaro: di talento ce n’è da vendere, la disciplina europea è ciò che manca per il definitivo salto di qualità. Servono struttura, severità, metodo. Ben presto le attenzioni si concentrano sul giovane Andrea.
Nei quotidiani dell’epoca, solo un trafiletto. “Il rapimento del piccolo Andrea tiene Roma col fiato sospeso”. Dopo pochi giorni, il silenzio. Un silenzio che il governo di Buenos Aires paga profumatamente. Il viaggio non è breve. Per sfuggire ai controlli aeroportuali, gli 007 sudamericani optano per un cargo battente bandiera malese, non senza difficoltà, dato che nessuno sa come sia fatta. Durante i 25 giorni di navigazione, Andrea non si scompone: non chiede della mamma, non chiede giocattoli, non fa domande. Chiede solo tre cose: una lavagna, un gesso, e un pallone. Ottenuti gli strumenti del mestiere, inizia a fare ciò per cui è nato: insegnare calcio. Di lì a pochi anni, quei marinai avrebbero giocato nei più prestigiosi club del mondo.
Un bambino a bordo, coetaneo di Andrea, lo osserva e metabolizza. Poi un giorno, vinti i timori, gli chiede: “Ma perché, se abbiamo quasi la stessa età, tu hai già la barba e io no?”
“Tu sei curioso, questo farà di te un grande uomo, asseconda la tua curiosità, e poi metti in pratica ciò che hai imparato su questa nave. Qual è il tuo nome?”
“Javier Aldemar Mastrolindo Zanetti, e voglio avere anche io la barba”.
“Ah però, anche tu genitori stronzi eh..? Da oggi sarai solo Zanetti, e ti prometto che un giorno ci ritroveremo. Io allenerò, e tu sarai ancora un grande giocatore”.
Degli anni argentini di Strama non si hanno cronache ufficiali, ma vangeli apocrifi e diari trafugati raccontano di lezioni di tattica alla fine delle quali giovani calciatori piangono abbracciandosi, di schemi per i calci piazzati intagliati nel legno della Pampa e spediti sino ai confini dello stato, di diagonali tramandate oralmente e a passi di tango di villaggio in villaggio.
Il tempo passa, Andrea insegna, i risultati, inderogabilmente, arrivano: nel 1990, l’Argentina batte l’Italia in semifinale e sfiora la riconquista del titolo di campione del mondo. Solo un rigore dubbio negherà la gioia a Maradona e compagni di alzare la coppa più prestigiosa per la terza volta. Sono passati solo quattro anni, “Strama” è ormai un culto clandestino in tutto il paese, nessuno sa il suo nome, tutti lo amano, ma lui sa che il suo tempo lì è ormai concluso: è ora di nuove sfide, vuole compiere la maggiore età in Europa. Dall’Argentina migra in Bolivia, dove apprende i segreti del fuorigioco d’altura e delle uscite dei portieri sudamericani gravemente prive di gravità. Dalla Bolivia arriva in Colombia, dove lo precede la fama e lo aspettano i narcotrafficanti del cartello di Zuniga che gli dicono: “Senor Andrea, facci vincere el mundial pure a nosotros e te riempimos d’oro e de coca”. Ma Andrea insegna calcio per vocazione e non per vil denaro, non accetta e viene sequestrato per 8 mesi e 8 giorni, fino al giorno in cui un giovane bimbo dalla criniera bizzarra messo a guardia del prigioniero, lo libera di nascosto. Carlos Valderrama, intervistato sulla vicenda anni e anni dopo, confesserà: “Quell’uomo mi ha insegnato tutto. Un giorno, portandogli del guacamole per colazione, guardandomi nei baffi me lo spalmò in testa e mi disse: <solo con questo colore di capelli potrai farti notare su un campo di calcio...> Di guacamole mi tinsi e da calciatore mi finsi. Senza di lui non sarei quello che sono diventato”.
Nascosto in un viaggio di rifornimento a ritroso dei guerriglieri del cartello di Asprilla, Andrea torna finalmente nel vecchio continente, in Serbia. Siamo nel gennaio del 1991, il mondo è dei giovani, ma i 18 anni di Andrea sono come quelli dei cani, ognuno ne vale almeno sette. Strama impara il serbo in tre settimane durante le quali compra marijuana da un bullo locale di nome Savicevic, campione del mondo di palleggi in corsa. Il carisma del Strama è tale che il capellone locale improvvidamente lo sfida ma al cinquecentoquattordicesimo palleggio viene colpito da cacarella fulminante e molla. “Andrea mi si avvicinò, e invece di umiliarmi mi accarezzò la testa proprio mentre ormai mi stavo per cacare addosso; tutto si bloccò, quel che era già liquido tornò solido, mi sentii di nuovo forte e invincibile, grazie a quell’uomo venuto dal nulla cui regalai tutto il fumo che avevo”, ricorda Savicevic. Il 29 maggio di quello stesso anno, la Stella Rossa di Belgrado insegna calcio totale a tutta Europa vincendo la Coppa dei Campioni. Nessuno tra i commentatori internazionali capisce quale sia il ruolo giocato nell’imperiosa ascesa della Stella Rossa da giovane Strama. Nessuno tranne tutta la Serbia. Che sa e saluta commossa Andrea Abelardo Antunes Coimbra Forrest Gump Stramaccioni, detto “Strama”, una notte d’inverno, dal porto fluviale sul Danubio.
Ancora un porto, ancora una nave, ancora un incontro. Nel viaggio che conduce a Marsiglia, Strama incontra un uomo pensieroso, lo avvicina e inizia a parlargli. Le ore passano come minuti, dopo tanti anni è bello confrontarsi di nuovo con qualcuno che capisce di calcio, un presidente per giunta, una brava persona, alla quale durante la conversazione insegna anche un gioco di carte: lo scopone scientifico. Andrea, che non subisce il destino ma lo plasma con pacata determinazione, capisce che è ora di vincere qualcosa in Francia, di aiutare quell’uomo a coronare il sogno suo e di una nazione. “Bernard, lavorerò con te”. Bernard Tapie scende dalla nave sorridendo, felice.
E’ la particella elementare del big bang di gioia che, un anno dopo, in una torrida notte di maggio si propagherà per tutta la Francia. L’Olympique Marsiglia conquista la sua prima Coppa dei Campioni. Il presidente Francoise Mitterrand chiede a Bernard Tapie chi abbia insegnato a giocare così al suo Olympique. Tapie indica un uomo in fondo all’aereo. Da quel giorno, tutti gli inquilini dell’Eliseo si sono avvalsi dei consigli di Andrea Stramaccioni nelle ore più buie della Repubblica Francese.
Ombra dell’ennesimo trionfo, a soli 18 anni, Aurelio fa perdere le sue tracce. Mezzo mondo del calcio lo vorrebbe su una panchina, l’altro mezzo vorrebbe sapere chi è per riuscire almeno a proporglielo. Lui, vampiro della fama, fugge dalla luce dei riflettori e, semplicemente, svanisce. Biografie non autorizzate hanno fantasticato ogni possibile scenario per questo buco di quasi vent’anni: dal padre di famiglia al rivoluzionario accanto ai deboli di ogni parte del pianeta, dall’esilio all’ibernazione, dal viaggio nel tempo allo studio di nuove discipline. Ipotesi, quest’ultima, che gode di maggiore credito. Ingegneria, elettronica, chimica, medicina: è plausibile immaginare che ognuno degli oggetti che popolano la nostra quotidianità debba dire grazie all’intelletto di un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri. In molti pensano che Bora Milutinovic, in realtà, altri non sia che Andrea Stramaccioni sotto mentite spoglie. Ma il Milutinovic smentisce più volte in tutte le lingue del mondo, ma soprattutto perde troppo spesso per essere Andrea. Evitato il disastro mondiale legato al rischio Millenium Bug, riconosciuta la paternità di un giovane nerd australiano di nome Julian Assange che minaccia di rivelare al mondo i segreti della sua scomparsa, Strama entra nel nuovo millennio con un desiderio antico e sempre nuovo: insegnare calcio.
In una splendida giornata primaverile, durante uno dei suoi consueti giri solitari in spider, accuditi e curati come ogni giorno alcuni randagi malati e consegnati alla giustizia due evasi, Andrea vede un uomo alle prese con una macchina in panne. Si ferma, lo aiuta, ovviamente individua il guasto e risolve. “Piacere, Massimo. Grazie per avermi aiutato” tende la mano rincuorato l’automobilista.
“Ho appena iniziato ad aiutarti, non dovrai mai ringraziarmi, Massimo”. Massimo è Moratti, il presidente dell’Ambrosiana Inter. E’ l’inizio di una nuova avventura, prima all’ombra dello Special One Mourihno, poi, ritenutosi soddisfatto di aver contribuito al ‘Triplete’ del 2010, accetta di allenare la squadra primavera. Strama non considera quel ruolo un ripiego, sa bene che l’opportunità di allenare la prima squadra non tarderà ad arrivare. Andrea diventa rapidamente l’eminenza grigia dell’epopea mourihniana, ma le luci della ribalta, anche per motivi di riflessi, sono tutte per lo Special One potoghese. Andrea ne soffre, Milito gli dedica la finta sbagliata ma non basta a risollevarne il morale. La sua autostima tocca livelli talmente bassi che si chiude lo stesso in se stesso trovando rifugio nelle letture del giovane Stalin, per meglio capire le quali comincia a studiare il cirillico. E’ lì che si consuma la rottura del sodalizio con Mourihno, che temendo le intuizioni del collega, decide di anticiparne le mosse lasciando lui e l’Inter al suo destino per volare in Spagna al Real Madrid a insegnare il calcio imparato da Andrea.
Presi i giusti contatti con i mecenati e la mala locali, vinto scudetto e coppa di Spagna, Mourihno pensa al suo amico abbandonato alla Pinetina e lo richiama a sé. “Ciao Andrea, vieni da noi, si beve e si tromba, si tromba e si beve. Ho pure fatto comprare Hulk apposta per te!”. Andrea sviene per la commozione e rifiuta la proposta di incontrare di nuovo colei che lo sverginò adolescente.
Andrea diventa inconsapevolmente amico di ogni rosa della Pinetina, e prima che lui stesso se ne accorga è già il dipendente non giocatore con più anni di anzianità interista alle spalle. Andrea detto “la chioccia di marmo”, supera il periodo di mobbing con cui i vendicativi e pavidi Benitez e Ranieri lo vessano obbligandolo a comunicare a Snejider e Milito di dover uscire tra un tempo e l’altro di un derby compromesso, e torna ufficialmente a fare capolino nello staff tecnico con il ruolo di “tempera gessi per le linee del campo B”. Benitez e Ranieri ci mettono poco a capire che quell’uomo ha una marcia in più, motivo per cui lo nominano “responsabile delle mountain bike parcheggiate alla Pinetina”, emarginandolo dal golfo mistico delle decisioni tecniche.
Lui, che con le mani in mano non ci sa stare, passa il tempo presso la carrozzeria di famiglia di un amico. Tutti gli vogliono bene, tutti lo salutano, tutti lo omaggiano e gli portano rispetto, ma nessuno gli chiede espressamente di fare il suo vero lavoro: insegnare calcio ad alto livello. Il destino dell’uomo sembra segnato, finché un giorno tutto cambia. Massimo Moratti, memore delle figure di merda negli ultimi campionati, chiede espressamente di imparare calcio, nel senso delle regole. Tutti si fingono malati, tutti tranne Andrea, che comincia a impartire al presidente doppie sedute di ripetizioni private. Il miracolo avviene, Moratti capisce e finalmente ordina: il prossimo allenatore dell’Inter sarà Andrea Stramaccioni. Il resto è storia nota. Dal siluramento di Snejider al clamoroso litigio di ieri con Cassano. Ma chi conosce Strama, sa perfettamente che i vaffanculo a raffica daranno nuovi stimoli a questo giovane grande allenatore.
In caso di Necessita' Contattate il Nostro Moderatore GIZUR
Iniziato precocemente alle gioie del sesso, del fumo e dell'alcol (conosciute tutte in un’unica notte grazie a una prostituta russa di nome Hulk), Strama è già uomo di calcio a 10 anni, allorché si presenta al campo della Vigor Ladispoli con il volto insolitamente ricoperto di ispida peluria. E’ febbraio, il carnevale impazza, ma il burbero tecnico della scuola calcio Vigor Ladispoli Footbal Club è omofobo uomo d'altri tempi intollerante a quelle che lui chiama "frocerie". Con un colpo secco prova a strapparne la peluria pensandola posticcia. Un rigagnolo di sangue zampilla dal bulbo sotto al mento del piccolo Andrea. La sua è barba vera. Strama è già uomo. E un uomo di calcio, per quanto giovane, spesso è un uomo in pericolo.
Corre l’anno 1986, l’Argentina ha vinto i mondiali di calcio e l’entusiasmo popolare è alle stelle, ma la federazione, e ancora più in alto il governo, sanno che tutto ciò non può durare a lungo. Occorre programmare, per vincere ancora. Ondate di calciatori argentini dalla scarsa levatura tecnica invadono il vecchio continente pronti a riferire al governo patrio. L’obiettivo è chiaro: di talento ce n’è da vendere, la disciplina europea è ciò che manca per il definitivo salto di qualità. Servono struttura, severità, metodo. Ben presto le attenzioni si concentrano sul giovane Andrea.
Nei quotidiani dell’epoca, solo un trafiletto. “Il rapimento del piccolo Andrea tiene Roma col fiato sospeso”. Dopo pochi giorni, il silenzio. Un silenzio che il governo di Buenos Aires paga profumatamente. Il viaggio non è breve. Per sfuggire ai controlli aeroportuali, gli 007 sudamericani optano per un cargo battente bandiera malese, non senza difficoltà, dato che nessuno sa come sia fatta. Durante i 25 giorni di navigazione, Andrea non si scompone: non chiede della mamma, non chiede giocattoli, non fa domande. Chiede solo tre cose: una lavagna, un gesso, e un pallone. Ottenuti gli strumenti del mestiere, inizia a fare ciò per cui è nato: insegnare calcio. Di lì a pochi anni, quei marinai avrebbero giocato nei più prestigiosi club del mondo.
Un bambino a bordo, coetaneo di Andrea, lo osserva e metabolizza. Poi un giorno, vinti i timori, gli chiede: “Ma perché, se abbiamo quasi la stessa età, tu hai già la barba e io no?”
“Tu sei curioso, questo farà di te un grande uomo, asseconda la tua curiosità, e poi metti in pratica ciò che hai imparato su questa nave. Qual è il tuo nome?”
“Javier Aldemar Mastrolindo Zanetti, e voglio avere anche io la barba”.
“Ah però, anche tu genitori stronzi eh..? Da oggi sarai solo Zanetti, e ti prometto che un giorno ci ritroveremo. Io allenerò, e tu sarai ancora un grande giocatore”.
Degli anni argentini di Strama non si hanno cronache ufficiali, ma vangeli apocrifi e diari trafugati raccontano di lezioni di tattica alla fine delle quali giovani calciatori piangono abbracciandosi, di schemi per i calci piazzati intagliati nel legno della Pampa e spediti sino ai confini dello stato, di diagonali tramandate oralmente e a passi di tango di villaggio in villaggio.
Il tempo passa, Andrea insegna, i risultati, inderogabilmente, arrivano: nel 1990, l’Argentina batte l’Italia in semifinale e sfiora la riconquista del titolo di campione del mondo. Solo un rigore dubbio negherà la gioia a Maradona e compagni di alzare la coppa più prestigiosa per la terza volta. Sono passati solo quattro anni, “Strama” è ormai un culto clandestino in tutto il paese, nessuno sa il suo nome, tutti lo amano, ma lui sa che il suo tempo lì è ormai concluso: è ora di nuove sfide, vuole compiere la maggiore età in Europa. Dall’Argentina migra in Bolivia, dove apprende i segreti del fuorigioco d’altura e delle uscite dei portieri sudamericani gravemente prive di gravità. Dalla Bolivia arriva in Colombia, dove lo precede la fama e lo aspettano i narcotrafficanti del cartello di Zuniga che gli dicono: “Senor Andrea, facci vincere el mundial pure a nosotros e te riempimos d’oro e de coca”. Ma Andrea insegna calcio per vocazione e non per vil denaro, non accetta e viene sequestrato per 8 mesi e 8 giorni, fino al giorno in cui un giovane bimbo dalla criniera bizzarra messo a guardia del prigioniero, lo libera di nascosto. Carlos Valderrama, intervistato sulla vicenda anni e anni dopo, confesserà: “Quell’uomo mi ha insegnato tutto. Un giorno, portandogli del guacamole per colazione, guardandomi nei baffi me lo spalmò in testa e mi disse: <solo con questo colore di capelli potrai farti notare su un campo di calcio...> Di guacamole mi tinsi e da calciatore mi finsi. Senza di lui non sarei quello che sono diventato”.
Nascosto in un viaggio di rifornimento a ritroso dei guerriglieri del cartello di Asprilla, Andrea torna finalmente nel vecchio continente, in Serbia. Siamo nel gennaio del 1991, il mondo è dei giovani, ma i 18 anni di Andrea sono come quelli dei cani, ognuno ne vale almeno sette. Strama impara il serbo in tre settimane durante le quali compra marijuana da un bullo locale di nome Savicevic, campione del mondo di palleggi in corsa. Il carisma del Strama è tale che il capellone locale improvvidamente lo sfida ma al cinquecentoquattordicesimo palleggio viene colpito da cacarella fulminante e molla. “Andrea mi si avvicinò, e invece di umiliarmi mi accarezzò la testa proprio mentre ormai mi stavo per cacare addosso; tutto si bloccò, quel che era già liquido tornò solido, mi sentii di nuovo forte e invincibile, grazie a quell’uomo venuto dal nulla cui regalai tutto il fumo che avevo”, ricorda Savicevic. Il 29 maggio di quello stesso anno, la Stella Rossa di Belgrado insegna calcio totale a tutta Europa vincendo la Coppa dei Campioni. Nessuno tra i commentatori internazionali capisce quale sia il ruolo giocato nell’imperiosa ascesa della Stella Rossa da giovane Strama. Nessuno tranne tutta la Serbia. Che sa e saluta commossa Andrea Abelardo Antunes Coimbra Forrest Gump Stramaccioni, detto “Strama”, una notte d’inverno, dal porto fluviale sul Danubio.
Ancora un porto, ancora una nave, ancora un incontro. Nel viaggio che conduce a Marsiglia, Strama incontra un uomo pensieroso, lo avvicina e inizia a parlargli. Le ore passano come minuti, dopo tanti anni è bello confrontarsi di nuovo con qualcuno che capisce di calcio, un presidente per giunta, una brava persona, alla quale durante la conversazione insegna anche un gioco di carte: lo scopone scientifico. Andrea, che non subisce il destino ma lo plasma con pacata determinazione, capisce che è ora di vincere qualcosa in Francia, di aiutare quell’uomo a coronare il sogno suo e di una nazione. “Bernard, lavorerò con te”. Bernard Tapie scende dalla nave sorridendo, felice.
E’ la particella elementare del big bang di gioia che, un anno dopo, in una torrida notte di maggio si propagherà per tutta la Francia. L’Olympique Marsiglia conquista la sua prima Coppa dei Campioni. Il presidente Francoise Mitterrand chiede a Bernard Tapie chi abbia insegnato a giocare così al suo Olympique. Tapie indica un uomo in fondo all’aereo. Da quel giorno, tutti gli inquilini dell’Eliseo si sono avvalsi dei consigli di Andrea Stramaccioni nelle ore più buie della Repubblica Francese.
Ombra dell’ennesimo trionfo, a soli 18 anni, Aurelio fa perdere le sue tracce. Mezzo mondo del calcio lo vorrebbe su una panchina, l’altro mezzo vorrebbe sapere chi è per riuscire almeno a proporglielo. Lui, vampiro della fama, fugge dalla luce dei riflettori e, semplicemente, svanisce. Biografie non autorizzate hanno fantasticato ogni possibile scenario per questo buco di quasi vent’anni: dal padre di famiglia al rivoluzionario accanto ai deboli di ogni parte del pianeta, dall’esilio all’ibernazione, dal viaggio nel tempo allo studio di nuove discipline. Ipotesi, quest’ultima, che gode di maggiore credito. Ingegneria, elettronica, chimica, medicina: è plausibile immaginare che ognuno degli oggetti che popolano la nostra quotidianità debba dire grazie all’intelletto di un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri. In molti pensano che Bora Milutinovic, in realtà, altri non sia che Andrea Stramaccioni sotto mentite spoglie. Ma il Milutinovic smentisce più volte in tutte le lingue del mondo, ma soprattutto perde troppo spesso per essere Andrea. Evitato il disastro mondiale legato al rischio Millenium Bug, riconosciuta la paternità di un giovane nerd australiano di nome Julian Assange che minaccia di rivelare al mondo i segreti della sua scomparsa, Strama entra nel nuovo millennio con un desiderio antico e sempre nuovo: insegnare calcio.
In una splendida giornata primaverile, durante uno dei suoi consueti giri solitari in spider, accuditi e curati come ogni giorno alcuni randagi malati e consegnati alla giustizia due evasi, Andrea vede un uomo alle prese con una macchina in panne. Si ferma, lo aiuta, ovviamente individua il guasto e risolve. “Piacere, Massimo. Grazie per avermi aiutato” tende la mano rincuorato l’automobilista.
“Ho appena iniziato ad aiutarti, non dovrai mai ringraziarmi, Massimo”. Massimo è Moratti, il presidente dell’Ambrosiana Inter. E’ l’inizio di una nuova avventura, prima all’ombra dello Special One Mourihno, poi, ritenutosi soddisfatto di aver contribuito al ‘Triplete’ del 2010, accetta di allenare la squadra primavera. Strama non considera quel ruolo un ripiego, sa bene che l’opportunità di allenare la prima squadra non tarderà ad arrivare. Andrea diventa rapidamente l’eminenza grigia dell’epopea mourihniana, ma le luci della ribalta, anche per motivi di riflessi, sono tutte per lo Special One potoghese. Andrea ne soffre, Milito gli dedica la finta sbagliata ma non basta a risollevarne il morale. La sua autostima tocca livelli talmente bassi che si chiude lo stesso in se stesso trovando rifugio nelle letture del giovane Stalin, per meglio capire le quali comincia a studiare il cirillico. E’ lì che si consuma la rottura del sodalizio con Mourihno, che temendo le intuizioni del collega, decide di anticiparne le mosse lasciando lui e l’Inter al suo destino per volare in Spagna al Real Madrid a insegnare il calcio imparato da Andrea.
Presi i giusti contatti con i mecenati e la mala locali, vinto scudetto e coppa di Spagna, Mourihno pensa al suo amico abbandonato alla Pinetina e lo richiama a sé. “Ciao Andrea, vieni da noi, si beve e si tromba, si tromba e si beve. Ho pure fatto comprare Hulk apposta per te!”. Andrea sviene per la commozione e rifiuta la proposta di incontrare di nuovo colei che lo sverginò adolescente.
Andrea diventa inconsapevolmente amico di ogni rosa della Pinetina, e prima che lui stesso se ne accorga è già il dipendente non giocatore con più anni di anzianità interista alle spalle. Andrea detto “la chioccia di marmo”, supera il periodo di mobbing con cui i vendicativi e pavidi Benitez e Ranieri lo vessano obbligandolo a comunicare a Snejider e Milito di dover uscire tra un tempo e l’altro di un derby compromesso, e torna ufficialmente a fare capolino nello staff tecnico con il ruolo di “tempera gessi per le linee del campo B”. Benitez e Ranieri ci mettono poco a capire che quell’uomo ha una marcia in più, motivo per cui lo nominano “responsabile delle mountain bike parcheggiate alla Pinetina”, emarginandolo dal golfo mistico delle decisioni tecniche.
Lui, che con le mani in mano non ci sa stare, passa il tempo presso la carrozzeria di famiglia di un amico. Tutti gli vogliono bene, tutti lo salutano, tutti lo omaggiano e gli portano rispetto, ma nessuno gli chiede espressamente di fare il suo vero lavoro: insegnare calcio ad alto livello. Il destino dell’uomo sembra segnato, finché un giorno tutto cambia. Massimo Moratti, memore delle figure di merda negli ultimi campionati, chiede espressamente di imparare calcio, nel senso delle regole. Tutti si fingono malati, tutti tranne Andrea, che comincia a impartire al presidente doppie sedute di ripetizioni private. Il miracolo avviene, Moratti capisce e finalmente ordina: il prossimo allenatore dell’Inter sarà Andrea Stramaccioni. Il resto è storia nota. Dal siluramento di Snejider al clamoroso litigio di ieri con Cassano. Ma chi conosce Strama, sa perfettamente che i vaffanculo a raffica daranno nuovi stimoli a questo giovane grande allenatore.
In caso di Necessita' Contattate il Nostro Moderatore GIZUR