Prosegue l'Antologia Mandrogna:
http://tinyurl.com/pk7ors9" />Saintsaens - Hard(?)Boiled - L'avete voluto voi!
Era una notte fredda e nebbiosa – di nuovo; ed io stavo bestemmiando l’inverno mandrogno – di nuovo. Mai una soddisfazione da quei sei numeretti maledetti. Mai un volo di sola andata per la Polinesia.
Gettai il cappotto sul divano e mi accesi una sigaretta. Quella deliziosa gattina della mia segretaria mi stava fissando con quei suoi fanaloni verdi. Dio, che occhi. E che gambe. E che sedere.
“Abbiamo un cliente, capo. Un pezzo grosso”.
“Oh, che gioia”, risposi sbuffando il fumo. &ldquoi che si tratta?”
Lei si schiarì la gola. Quella sua voce bassa e roca mi dava i brividi, e lei lo sapeva.
“Un tizio che si fa chiamare Cunnikiller. Ha dei problemi in città, e gli serve qualcuno che glieli risolva. Sai, è di fuori, della metropoli… la bèla Turin”.
“Ellis, tesoro, se io fossi bulgara ci andrei piano col dialetto piemontese”.
“E io, tesoro, se avessi tutti i tuoi debiti sarei un po’ meno selettiva coi clienti”.
“Touchè. Prenderò il lavoro. Qualche dettaglio?”
Lei passò le dita affusolate sul tablet: “Pare che gli abbiano rifilato un pacco – un falso d’autore. Lui giustamente si è innervosito, ed ora vuole andare a fondo alla cosa… e pare che il pacco arrivi da Lisòndria” – si direbbe che la gattina bulgara si divertisse a provocarmi.
“Un falso? Beh, a questo punto credo che dovremo chiedere una consulenza a Caballero”.
Ellis sorrise beffarda: “Heh. Che nomignolo assurdo”.
Io la guardai male: “Sarà, ma è il più abile esperto di falsi che io conosca: per quanto mi riguarda potrebbe anche girare in monopattino. E comunque, se l’avessi visto impennare quel coso fino in quarta come l’ho visto io, faresti meno la spiritosa”.
Lei fece finta di niente, continuando a scorrere i documenti digitali sul tablet. A un certo punto si fermò interessata: “Ma guarda un po’ che cosa abbiamo qui…”
La guardai con aria interrogativa, e lei sorrise – di nuovo: “Indovina chi ha fatto la consegna”.
-----
Conoscevo quel corriere. Era l’uomo da chiamare quando avevi un trasporto delicato e non volevi intoppi, lo sapevano tutti – e anch’io in passato me ne ero servito. Un tizio in gamba.
Faceva base alla Bisca del Maestro – un posto che sembrava uscito dritto dritto da un film di Bogart; e dove, per mia fortuna, avevo delle… entrature.
Arrivai al civico 75 e suonai. Anche se c’era la telecamera, il buttafuori aprì lo spioncino per dare un’occhiata – penso ancora oggi che fosse solo per mantenere l’atmosfera. Ad ogni modo, mi riconobbe e mi fece entrare.
Maria, la pupa del capo, se ne stava languidamente appollaiata su uno scranno, dietro al bancone dell’ingresso, e giocherellava con un orecchio del gattino che teneva in grembo. Era una biondina slanciata, lunare, di una bellezza intrigante. Mi tolsi il cappello e la salutai.
“Ti butta male, stasera. Il Maestro non c’è. E’ in giro a cercare nuove ballerine”.
Io ammiccai: “Una volta tanto non sono qui per lui. Ti secca se faccio un giro?”
Lei sollevò la mano dal gattino ad indicarmi la sala: “La sua casa è la tua casa, finché non combini guai. Capeesh?”
“Farò il bravo, croce sul cuore. Grazie, tesoro”.
CONTINUA!
Grazie:
http://gnoccaforum.com/esco…!/msg910031/#msg910031
http://tinyurl.com/owjaw6h" /> Caballero_6m - Il cappone dalle uova di cristallo
Riassunto semi-serio di una storia vera.
Dedicato a F.
C’era una volta un pulcino che abitava con i genitori in un pollaio vicino alla guardia, nel centro del paese della grande torta.
Era una bella famigliola e vivevano felici.
Ogni tanto i genitori portavano il pulcino a trovare i nonni che abitavano nel pollaio del castello, nel paese della pastasciutta.
In quel paese c’erano un sacco di altri pulcini che volevano che giocasse con loro ma lui sceglieva di starsene in disparte, solo soletto. A lui non piaceva giocare a pallone come agli altri; preferiva giocare con le bambole e per questo motivo veniva deriso da tutti.
I pulcini del paese andavano a scuola nella vicina città della grande torta con la corriera e, a volte, anche lui con loro. Passava un autista un po’ pierino che scendeva dalla cima dei coppi passando per il pineto e caricava tutti come se fossero figli suoi. E fu così per qualche anno.
Il tempo passava e il pulcino cresceva ed un bel giorno, tornando a casa trovò nella buca delle lettere una busta ma diversa dalle altre sulla quale c’era scritto E.I. con una stella. Lui subito pensò a Fonzie ma si sbagliò.
“Accipicchia e che ci sarà mai qui dentro?” Esclamò. Era indirizzata a lui e l’aprì in un attimo. C’era scritto che doveva andare nella città dei cappelli per fare una visita. Una mattina di buonora partì in treno e tornò a casa soltanto dopo 3 giorni. Nella città dei cappelli gli avevano detto che avrebbe dovuto recarsi al piccolo toro per un mese e che poi lo avrebbero destinato in un altro luogo per altri 11. L’unica penna che gli poteva essere concessa era quella scura fissata sul cappello verde.
Siccome la sua vita l’aveva sempre immaginata in modo totalmente differente, prese una decisione estremamente coraggiosa, soprattutto per un pulcino della sua età. Aveva già deciso da molto tempo ma quella forse era l’occasione giusta per agire.
Andò in banca e prelevò tutti i suoi risparmi; poi partì per una destinazione ignota ai più. Stette lontano da casa per diverso tempo e quando tornò quasi nessuno lo riconobbe. Era dimagrito tra le cosce ed aveva il petto gonfio; invece della cresta si era fatto crescere una lunga e folta chioma. “Acciderbola che stanga” esclamò qualcuno che non aveva ancora capito chi fosse; ma gli altri pulcini della sua età lo riconobbero subito e rimasero a becco aperto. Con qualcuno si confidò e disse che era stato in un ospedale per fare degli interventi di chirurgia plastica e per farsi togliere le uova. Alla fine della spiegazione capirono che il pulcino, crescendo, si era sentito cappone dentro e che da quel momento in poi, però, avrebbe voluto vivere da gallina, per non sentirsi un pollo per sempre e potendo anche scegliere in futuro se fare l’oca oppure la civetta e farsi tacchinare dai galli adulti. Le sue uniche due uova, mantenute in un apposito contenitore per la conservazione, nel frattempo si erano cristallizzate e le teneva custodite gelosamente per non dimenticare quel suo passato che non ha mai rinnegato.
E fu così che per non essere ulteriormente deriso dagli altri galletti idioti, se ne andò cambiando nome, lavoro, vita e città e da allora non ha più fatto ritorno.
Ovunque sia, speriamo che abbia trovato quella felicità e serenità che ha sempre cercato e che sicuramente merita.
Buona vita.
Grazie:
http://gnoccaforum.com/esco…
http://tinyurl.com/lkhxarpTorno subito...
http://tinyurl.com/pk7ors9" />Saintsaens - Hard(?)Boiled - L'avete voluto voi!
Era una notte fredda e nebbiosa – di nuovo; ed io stavo bestemmiando l’inverno mandrogno – di nuovo. Mai una soddisfazione da quei sei numeretti maledetti. Mai un volo di sola andata per la Polinesia.
Gettai il cappotto sul divano e mi accesi una sigaretta. Quella deliziosa gattina della mia segretaria mi stava fissando con quei suoi fanaloni verdi. Dio, che occhi. E che gambe. E che sedere.
“Abbiamo un cliente, capo. Un pezzo grosso”.
“Oh, che gioia”, risposi sbuffando il fumo. &ldquoi che si tratta?”
Lei si schiarì la gola. Quella sua voce bassa e roca mi dava i brividi, e lei lo sapeva.
“Un tizio che si fa chiamare Cunnikiller. Ha dei problemi in città, e gli serve qualcuno che glieli risolva. Sai, è di fuori, della metropoli… la bèla Turin”.
“Ellis, tesoro, se io fossi bulgara ci andrei piano col dialetto piemontese”.
“E io, tesoro, se avessi tutti i tuoi debiti sarei un po’ meno selettiva coi clienti”.
“Touchè. Prenderò il lavoro. Qualche dettaglio?”
Lei passò le dita affusolate sul tablet: “Pare che gli abbiano rifilato un pacco – un falso d’autore. Lui giustamente si è innervosito, ed ora vuole andare a fondo alla cosa… e pare che il pacco arrivi da Lisòndria” – si direbbe che la gattina bulgara si divertisse a provocarmi.
“Un falso? Beh, a questo punto credo che dovremo chiedere una consulenza a Caballero”.
Ellis sorrise beffarda: “Heh. Che nomignolo assurdo”.
Io la guardai male: “Sarà, ma è il più abile esperto di falsi che io conosca: per quanto mi riguarda potrebbe anche girare in monopattino. E comunque, se l’avessi visto impennare quel coso fino in quarta come l’ho visto io, faresti meno la spiritosa”.
Lei fece finta di niente, continuando a scorrere i documenti digitali sul tablet. A un certo punto si fermò interessata: “Ma guarda un po’ che cosa abbiamo qui…”
La guardai con aria interrogativa, e lei sorrise – di nuovo: “Indovina chi ha fatto la consegna”.
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Conoscevo quel corriere. Era l’uomo da chiamare quando avevi un trasporto delicato e non volevi intoppi, lo sapevano tutti – e anch’io in passato me ne ero servito. Un tizio in gamba.
Faceva base alla Bisca del Maestro – un posto che sembrava uscito dritto dritto da un film di Bogart; e dove, per mia fortuna, avevo delle… entrature.
Arrivai al civico 75 e suonai. Anche se c’era la telecamera, il buttafuori aprì lo spioncino per dare un’occhiata – penso ancora oggi che fosse solo per mantenere l’atmosfera. Ad ogni modo, mi riconobbe e mi fece entrare.
Maria, la pupa del capo, se ne stava languidamente appollaiata su uno scranno, dietro al bancone dell’ingresso, e giocherellava con un orecchio del gattino che teneva in grembo. Era una biondina slanciata, lunare, di una bellezza intrigante. Mi tolsi il cappello e la salutai.
“Ti butta male, stasera. Il Maestro non c’è. E’ in giro a cercare nuove ballerine”.
Io ammiccai: “Una volta tanto non sono qui per lui. Ti secca se faccio un giro?”
Lei sollevò la mano dal gattino ad indicarmi la sala: “La sua casa è la tua casa, finché non combini guai. Capeesh?”
“Farò il bravo, croce sul cuore. Grazie, tesoro”.
CONTINUA!
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Riassunto semi-serio di una storia vera.
Dedicato a F.
C’era una volta un pulcino che abitava con i genitori in un pollaio vicino alla guardia, nel centro del paese della grande torta.
Era una bella famigliola e vivevano felici.
Ogni tanto i genitori portavano il pulcino a trovare i nonni che abitavano nel pollaio del castello, nel paese della pastasciutta.
In quel paese c’erano un sacco di altri pulcini che volevano che giocasse con loro ma lui sceglieva di starsene in disparte, solo soletto. A lui non piaceva giocare a pallone come agli altri; preferiva giocare con le bambole e per questo motivo veniva deriso da tutti.
I pulcini del paese andavano a scuola nella vicina città della grande torta con la corriera e, a volte, anche lui con loro. Passava un autista un po’ pierino che scendeva dalla cima dei coppi passando per il pineto e caricava tutti come se fossero figli suoi. E fu così per qualche anno.
Il tempo passava e il pulcino cresceva ed un bel giorno, tornando a casa trovò nella buca delle lettere una busta ma diversa dalle altre sulla quale c’era scritto E.I. con una stella. Lui subito pensò a Fonzie ma si sbagliò.
“Accipicchia e che ci sarà mai qui dentro?” Esclamò. Era indirizzata a lui e l’aprì in un attimo. C’era scritto che doveva andare nella città dei cappelli per fare una visita. Una mattina di buonora partì in treno e tornò a casa soltanto dopo 3 giorni. Nella città dei cappelli gli avevano detto che avrebbe dovuto recarsi al piccolo toro per un mese e che poi lo avrebbero destinato in un altro luogo per altri 11. L’unica penna che gli poteva essere concessa era quella scura fissata sul cappello verde.
Siccome la sua vita l’aveva sempre immaginata in modo totalmente differente, prese una decisione estremamente coraggiosa, soprattutto per un pulcino della sua età. Aveva già deciso da molto tempo ma quella forse era l’occasione giusta per agire.
Andò in banca e prelevò tutti i suoi risparmi; poi partì per una destinazione ignota ai più. Stette lontano da casa per diverso tempo e quando tornò quasi nessuno lo riconobbe. Era dimagrito tra le cosce ed aveva il petto gonfio; invece della cresta si era fatto crescere una lunga e folta chioma. “Acciderbola che stanga” esclamò qualcuno che non aveva ancora capito chi fosse; ma gli altri pulcini della sua età lo riconobbero subito e rimasero a becco aperto. Con qualcuno si confidò e disse che era stato in un ospedale per fare degli interventi di chirurgia plastica e per farsi togliere le uova. Alla fine della spiegazione capirono che il pulcino, crescendo, si era sentito cappone dentro e che da quel momento in poi, però, avrebbe voluto vivere da gallina, per non sentirsi un pollo per sempre e potendo anche scegliere in futuro se fare l’oca oppure la civetta e farsi tacchinare dai galli adulti. Le sue uniche due uova, mantenute in un apposito contenitore per la conservazione, nel frattempo si erano cristallizzate e le teneva custodite gelosamente per non dimenticare quel suo passato che non ha mai rinnegato.
E fu così che per non essere ulteriormente deriso dagli altri galletti idioti, se ne andò cambiando nome, lavoro, vita e città e da allora non ha più fatto ritorno.
Ovunque sia, speriamo che abbia trovato quella felicità e serenità che ha sempre cercato e che sicuramente merita.
Buona vita.
Grazie:
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