Negli anni ‘80 abitavo in una via dei Navigli, in una casa di ringhiera tinta giallo “Vecchia Milano”, solo che non era una nuance di moda ma proprio il colore tipico delle case vecchie meneghine.
Chi ci abitava non se ne vantava e per molti come me, il bagno era fuori sul ballatoio in comune.
Non era la zona come la conoscete oggi, ma un crogiolo umano: vecchi e veri milanesi si mischiavano a famiglie numerose meridionali, studentesse straniere vendevano lezioni d’ amore, anime in rovina in cerca di paradisi artificiali, locande in cui uccidersi con vino e carte; osterie in cui il brodo caldo era un piatto di felicità. Gli obesi barconi portavano stancamente la sabbia alla Darsena.
Non esistevano locali trendy ma studi diroccati di pittori e artigiani del lego e del ferro, alcune signore facevano ancora il bucato al Vicolo dei lavandai; c’era Tommaso, un signore grasso e pittoresco che vendeva giocattoli e scherzi ai passanti, è sempre vissuto così, con le sue buffonate ha dato da mangiare a suo figlio con problemi psichici.
Noi bambini giocavamo a pallone in strada e l’omino dei gelati con la sua moto-frigo, dopo una dura giornata di lavoro, a volte ci regalava qualche cono 2 gusti, rimaneva sempre stracciatella e nocciola.
I negozi avevano lunghe liste di crediti di famiglie dove il lavoro significava sudore, ma era la consuetudine, semplice gustare una porzione di lasagne calde o un pollo allo spiedo e pagare al prossimo mese, “grazie Luigi!”
Noi ci sentivamo fortunati perché avevamo la piscina Argelati “in casa” e il gelato di Orsi , e poi i Navigli, non erano “fighetti” come adesso e noi ci pescavamo tinche, cavedani e alborelle durante le secche, scendevamo giù con i gambali verdi, che nostalgia!
Le notti d’inverno le strade malamente illuminate erano quadri impressionisti.
Qui è dove ho vissuto gran parte della mia vita e qui ho conosciuto Marina, una persona meravigliosa.
Marina abitva con altre sue amiche in alcuni monolacali nello stesso mio condominio di ringhiera, Marina e amiche erano delle trans.
Avevamo fatto amicizia, lei si divertiva a prendermi in giro e facendomi piccoli regali, avevo 10 anni e vedere questa magnifica creatura che mi copriva di attenzioni mi inebriava, alta e slanciata, con i capelli corvini lunghi che sottolineavano la sua leggiadria di stare al mondo. Lasciava dietro il suo passaggio magnifici e intensi profumi.
Un girono mi fù rivelato che proprio donna non era, ma non cambiò nulla per me, tipica apertura mentale del bambino non ancora inquinata da una società malata in cui, se non rientri nei canoni della “normalità” sei qualcosa da aggiustare o rottamare.
Marina di notte al castello Sforzesco, vendeva ciò che le donne non potevano vendere, faceva tanti soldi, e tanti ne regalava, donava anche sensuali abbracci e sesso a bei ragazzi, a mio fratello di 25 anni per primo.
Mio fratello mi raccontò anni dopo che era dolce e premurosa, anticipando ogni desiderio, ogni dettaglio voglioso mentre lo stavi ancora immaginando.
Portava allegria e simpatia nel cortile, faceva feste dove tutti erano invitati, univa e non divideva, come se fosse in debito, come per scusarsi per come era, la sua generosità commuoveva.
Molte persone voltando la testa le gettavano merda addosso con gran signorilità, però, alla sera cercavano il calore del suo corpo. Questo, la faceva sentire in un abisso di solitudine.
Marina cominciò un percorso personale, un percorso per il cambio del sesso.
Le amiche le sconsigliarono vivamente l’intervento:” Che non sarebbe stato più come prima.” “Che avevano sentito… “ “ Che altre avevano riferito…” Ma tutto era ancora agli albori in Italia e si sapeva poco, tutto nebuloso, e lei, voleva essere più femmina possibile. Si sentiva femmina fin da bambino, se ne accorse quando si sorprese a guardare i maschietti , preferendo i vestiti da femmine, guardandosi allo specchio non riconoscendo quel bambino, bello sì, effeminato sì, ma sempre maschietto. Lo desiderava, lo voleva, finalmente liberare la farfalla dal bozzolo non riconosciuto.
Lo psicologo diede l’OK:”Marina, sei pronta”. Marina cambiò sesso, ora sì, più vicina a se stessa.
Non è stato semplice, non è stato veloce, quanto è difficile rinascere in un altro corpo?
In men che non si dica iniziarono i problemi, il lavoro inizialmente aumentò, era l’unica in zona operata e tutti volevano provare, ma dopo un mese o due, ci fù il tracollo, faceva poco, poco, cominciò col “mangiarsi” i risparmi, iniziò a cercarsi un lavoro “normale”, ma non lo trovò, non aveva nessuna esperienza, e poi… quando capivano.
Mio fratello ci fece l’amore e mi disse che fù una pena, Marina da dolce divenne aggressiva, tra le lacrime disse a mo fratello che non riusciva più a godere, provava sì piacere ma blando e non aveva lo sfogo dell’orgasmo, il suo viso aristocratico divenne triste come un Pierrot.
E oltre al corpo, qualcosa cambio, qualcosa si ruppe nella sua anima.
Dopo qualche mese Marina ritornò al suo paese, mi salutò facendomi l’ennesimo regalo e mi disse che sarebbe ritornata, suggellando la promessa con uno sguardo profondo e triste.
Non avemmo più notizie per quasi un anno, si eclissò.
Un pomeriggio, il silenzio del cortile assolato fù squarciato dalle urla di Paola, una sua amica… urla di disperazione e incredulità… ricevette una telefonata…” Marina non c’è più”.
La fragilità incontrò la sensibilità femminile, entrambe rinchiuse in un corpo non riconosciuto, in trasformazione, non amato, e non più amabile.
Marina, una splendida persona, si tolse la vita tagliandosi le vene dei polsi a soli 27 anni.
Io la conoscevo bene.
Tutto ciò che scrivo è solo frutto della mia fervida fantasia.