1997. Fa caldo, è inizio agosto. La casa è vuota, desolatamente vuota. Mio padre ha portato al mare moglie e figli. Tutti quanti. E mi ha detto di passare a controllare le piante sui balconi.
Esco tardi dall’ufficio, ho sempre una scusa per rimanervi più del previsto. A casa nessuno mi aspetta e non mi va di farmi da mangiare. Prendo la macchina e giro, giro, giro per le strade di Milano finchè un’insegna più luminosa di un’altra mi abbaglia ed ammalia o semplicemente mi attira, ingurgitandomi nel suo ventre.
Cerco tavoli appartati, lontani dal centro del locale e dai ventilatori penzolanti. Il loro ronzio cadenzato ritma le solite parole. Ciao cara, tutto bene? Sì, ho cambiato la camicia. E i ragazzi? Sono in spiaggia con gli amici? Stai attenta alle bambine, stanno crescendo… Mi raccomando, non litigare con papà. Un bacio.
Un bacio, inizia a mancarmi qualcosa di più di un bacio. Gli impegni, i mille impegni. Le mille cose da fare. La stanchezza, la stanchezza che mi assale, che l’assale la sera. La routine, la solita routine. Da qualche mese mi manca qualcosa di più di un bacio. Qualcosa che la solita routine mi ha fatto scordare.
La cameriera mi soride. E’ il solito sorriso di circostanza. Stanco, vista l’ora. L’ho vista stirarsi la schiena e massaggiarsi i fianchi. Forse sogna di assaporare lo scroscio fresco della doccia. No, è il sorriso ammonitore di chi ti invita ad alzarti, a lasciare finire in pace anche la sua giornata.
Da qualche minuto sono assorto nei miei pensieri, ho contato e ricontato le bustine degli stuzzicadenti di fianco all’oliera unta e al vasetto di salsa al peperoncino. Ho girato il cucchiaio concavo fino a consumarlo, riempiendolo e svuotandolo del mostoso intruglio. E dentro mi monta un altro fuoco che la mano non potrà placare.
Mi alzo di scatto. Sul tavolo il piattino con il conto ripiegato, la sua fatica sara ripagata dalla mancia. La donna mi saluta e mi accompagna con lo sguardo all’uscita.
L’abbraccio afoso della notte si trasforma nel sollievo momentaneo dell’aria che ti sferza il volto mentre guidi.
Le piante.
Le piante di papà. Glielo devo. E’ sempre stato generoso con i suoi figli papà, soprattutto con me, quello di mezzo. Non sono il primo, il più inconsciamente desiderato, né l’ultimo, il cucciolo, da proteggere dagli altri lupacchiotti del branco.
Dopo la morte di mamma si è attaccato morbosamente alle sue piante, come se curandole possa curare anche lei. Come se tenendole sane possa prendersi la rivincita sulla malattia di mamma che non ha potuto combattere. O forse solo per il desiderio di farle rifiorire come mamma ha sempre fatto fiorire la sua vita.
Devo fare una deviazione.
Sono in viale Serra. E’ mezzanotte passata. Viados seminudi e prostitute sudamericane si alternano lungo i marciapiedi. Dove vedi una macchina, un busto piegato parlotta appoggiato al finestrino. Le corte gonne fanno intravedere la forma conosciuta, velata da sottilissimi slip. Il desiderio mi monta. Imbocco viale Certosa. All’angolo due lunghe gambe issate su tacchi chilometrici dondolano dolcemente, facendo ancheggiare una mini di pelle bianca. L’ombelico è scoperto ed il giubbino, ugualmente bianco, di pelle, si apre e si chiude al mio passaggio, a mostrare due generosi meloni tondeggianti.
Sospiro mentre curvo, non è sera da brasiliani.
Sono in piazzale Accursio, lo attraverso. Angolo con Espinasse, sotto un palo, di fronte ad una vecchia autofficina…
Una cascata di riccioli scuri mi attira. Il contrasto del corpo abbronzato, liscio e lucente per l’olio generosamente spalmato che si mischia col sudore della notte, con una mini plissettata rosso fuoco, un giubbetto di ugual colore e due scarpe eleganti con tacco 10, aperte a mostrare due piedi armoniosi, mi fanno quasi inchiodare.
Riesco a stento ad evitare che la macchina che mi segue si accartocci sulla mia accelerando all’improvviso.
Subito alzo il braccio in segno di scuse, la lascio passare ed accolgo con sorriso da cane bastonato le bestemmie che mi vomita addosso il guidatore.
Riprendo il controllo per breve tempo. Un'altra ondata d’ansia mi assale. Non posso lasciarmela scappare. Giro velocemente l’angolo e poi giro ancora attorno all’isolato. Sono in via Espinasse, arrivo di fretta all’angolo con il piazzale.
Lei volta la testa alla mia frenata, mi vede e sorride: ha riconosciuto lo scemo che è appena passato.
Ha la punta di una scarpa rialzata. E’ piegata lateralmente sui fianchi. Dio quanto è bella!
Mi fa un segno con un dito. Faccio un’altra manovra vietata, mi accosto contromano sul suo lato.
Sotto il giubbetto rosso un toppino bianco non lascia nulla all’immaginazione.
Si piega, un largo sorriso si allarga sul suo viso tondo. Due labbra carnose il giusto, due gote simpatiche tra cui si staglia un delizioso nasino, leggermente a patata, con le narici un poco larghe. Una fossettina sul mento. Due occhi. Due occhi grandi, scuri, contornati da ciglia lunghe rimmellate e sopracciglia regolate. E una cascata di riccioli neri.
Intuisco che abbia la mia età, le mani, il volto, la fronte… tutto mi indica il corpo di una trentacinquenne.
Le sue braccia e le sue gambe sono lisce, la pelle si riflette sotto la luce del lampione. Non è una velina, non è alta, non ha un vitino da vespa, le spalle sono larghe come i fianchi, in cima alle gambe si allarga un bel sedere sodo. Come vorrei tenerle le chiappe tra le mani.
Il seno, tra la seconda e la terza fa fatica a rimanere nel toppino. I capezzoli son turgidi, le areole larghe e pronunciate. Vien voglia di attaccarvisi e di suggerle all’infinito.
Il mio lui fatica a stare nei pantaloni, dal glande fuoriesce il liquido che precede l’esplosione dello sperma. Devo controllarmi.
“Que quieres, mi amor?”
“Quiero cogerte…”
Mai risposta più stupida, o sincera, mi esce spontaneamente dalla bocca, senza essere controllata dal cervello…
Una risata, una sonora risata, una sonora e cristallina risata le allarga il viso, scuotendole i ricci e il corpo.
“..Ta bien! Y adonde vamos?”
“En mi casa… Tu nombre?”
“Miryam amor… me llamo Miryam…”
Proprio a casa mia no… a casa di papà. Più sicura, più discreta, con l’ascensore che parte dai box e arriva al piano. Gli anziani signori Brambilla a quest’ora dormono il beato sonno dei vecchi tornati bambini, non si accorgeranno di niente.
Le piante di papà saranno dissetate questa sera…
In caso di Necessita' Contattate il Nostro Moderatore GIZUR