Perchè?
Perchè?
Perchè io?
Perchè a me?
Queste sono le parole che ti martellano nel cranio, mentra scendi dalla rete, mentre recuperi il bilanciere, mentre ti avvii a testa china non sai nemmeno tu verso dove.
Alzi il viso, solo una volta, ancora, in un misto di poco orgoglio e tanta vergogna, sì, perchè la vergogna ti sta mangiando dentro tutto quel poco di amor proprio che ti rimane, ed ha fame, ooh se ha fame la maledetta, e tu non hai nulla da darle, perchè non hai nulla di cui vergognarti.
Guardi la fune su cui eri fino ad un attimo prima. Stavolta ti era sembrata la volta buona; niente di eccezionale, per carità, nessuna capriola senza rete, solo una camminata verso la metà della fune, meta d'incontro con un'altra persona partita dall'altro capo; sareste stati insieme al centro della fune, piegata dal peso di quei due corpi talmente vicini da sembrare uno solo, ma con quattro piedi quattro mani due bilancieri pronti a sfidare la legge di gravità e la gravità di qualunque altra legge, umana e non.
Senti ancora il rumore del pubblico, facce conosciute mescolate a volti estranei, che ti guardava mentre avanzavi a piedi nudi, tu, "quella gran culo di Cenerentola", verso di lui, un passo dopo l'altro, hanno visto lo spettacolo migliaia di volte, ormai sono anni, secoli, millenni ma sono sempre lì a testa in su, perchè non si paga il biglietto e l'emozione è gratuita, il brivido viene via con niente a loro, e a te tremavano le ginocchia ed erano altri brividi.
Senti ancora i bisbigli a bassa voce, eri in alto, strano, le voci non possono arrivare fin quassù ti dici, ma il tuo orecchio interno è sensibilissimo, impegnata come sei a stare in equilibrio: "Non ce la fanno", "Sì invece!", "Lei cade prima", "No, guarda lui, non è sicuro".
Tutti hanno provato a camminare sulla fune prima o poi, anche coloro che sono tra il pubblico di oggi. Qualcuno è caduto, ma lo rifarà. Qualcuno ha iniziato a camminarci senza neanche vedere chi c'era all'altro capo, perchè era così lontano da non poterlo sapere prima. Qualcuno ci sta ancora camminando adesso, mentre tu sei qui, caduta, lui è da un'altra parte, su un'altra fune, a reggere un bilanciere, i piedi che scivolano ma gli è parso di vedere avvicinarsi qualcuno, finalmente. Qualcun altro ci è riuscito, fino ad incontrare chi era partito dall'altra parte. Sono stati insieme sulla fune, poco o tanto non importa, erano alti sugli occhi di chi guardava. Qualcun altro ha percorso pochi passi, ha pagato e prontamente un'altra persona gli è corsa incontro, professionista della fune, sempre in equilibrio sul filo, del rasoio e della vita; sono tanti i modi per pagare, ma qualcuno che ti viene incontro c'è sempre.
Ora sei coi piedi per terra, continui a camminare, il brivido non c'è più, ma senti un gran freddo; ripensi a prima, quando tu, che come tutti hai fatto parte del pubblico per tante volte, trattevi il respiro con gli occhi rivolti a chi percorreva la fune, applaudivi chi ce la faceva o ti lasciavi andare andare ad una risata verso chi cadeva impacciato. Ripensi a quando sei salita in alto, hai preso il bilanciere fra le mani ed hai iniziato a camminare sulla fune.
Ti stava venendo bene, un passo dopo l'altro, sicuro, preciso, lo sguardo dritto davanti a te, lo vedevi sempre più vicino; anche la cornacchia che ad un certo punto si è appoggiata al bilanciere, scambiandolo per un improprio trespolo, non ti ha turbato più del dovuto, un soffio a scostare i capelli dagli occhi, una leggera scossa al bilanciere ed è volata via.
Ed ad un tratto lui si è fermato. Non camminava più verso di te. Paura. Sua, non tua. E' stato immobile, un lungo attimo, poi, lentamente, ha iniziato a fare quello di cui avevi più paura tu. Un piede dopo l'altro, un passo per volta, ha iniziato ad indietreggiare, inesorabilmente. Mancava poco, eravate vicinissimi, ma lui si stava allontanando.
Hai continuato a camminare sulla fune, tu, quasi a correre per raggiungerlo, accelerando il passo per colmare il vuoto.
Un altro vuoto ti ha reclamata, sei caduta, verso la rete con le sue maglie strette, accoglienti, sicure, immobili nel buio sotto di te.
Perchè?
Perchè?
Perchè è nella natura dell'essere umano.
Perchè non puoi vincere.
Perchè non puoi pareggiare.
Perchè non puoi ritirarti.
Perchè non puoi lottare con mezzo milione di anni di evoluzione della specie.
Ma tu a questo non ci credevi.
Cammini ancora, raggiungi la scala che ti ha portato in alto, dove iniziava la fune, le luci dello spettacolo sono lontane, il rumore è più fievole. Una voce mormora il tuo nome, ti fermi, sorpresa.
"Prendi questo bilanciere, Sara. Io non lo uso più, è diventato troppo pesante per me. Quando cammino sulla fune, e lo faccio ancora a volte, non ne ho bisogno. Gli occhi non vedono più lontano come un tempo, ma l'equilibrio mi aiuta, anche senza bilanciere. Tienilo tu, te lo regalo."
Allunghi una mano, prendi il bilanciere. Lo soppesi reggendolo davanti a te con entrambe le braccia. E' un buon bilanciere, hai i piedi fermi sul terreno ma senti benissimo le vibrazioni che risalgono attraverso il tuo corpo, attraverso le tue braccia tese e si disperdono nell'aria mentre il bilanciere oscilla. E' leggero, come fa a dire che è pesante, che non ce la fa a reggerlo, pensi stupita. Alzi lo sguardo per domandarlo, ma non c'è più nessuno, forse solo un'ombra che si allontana nel buio, oltre la rete.
Guardi ancora il bilanciere, c'è inciso qualcosa, proprio a metà fra dove le mani devono reggerlo.
Cerchi un po' di luce per decifrare quella scritta consunta dal tempo, incisa con un chiodo o un coltello o una spina dura quando il bilanciere doveva avere già qualche anno.
Ecco, ora riesci a leggerla.
"E' nella natura dell'essere umano".
Tutto questo per non fare km inutilmente