Fra il curioso, il simpatico e il lievemente imbarazzante collocherei anche le situazioni che si generano in una occasione specifica: gli accompagnamenti al supermercato. Nella mia carriera, finora, due. Onde evitare la solita, ripetitiva, discussione fra i cinici e i misericordiosi, preciso che ho accettato non per fare un’opera pia, cosa di cui in coscienza non sento il bisogno, ma perché, come ho scritto altrove, mi interessano le situazioni che superano i confini dell’erotismo borghese dell’intimità e annovero, fra gli ingredienti dell’eccitazione, anche i posizionamenti meno scontati dei corpi, gli sguardi altrui (e non mi riferisco, necessariamente, a pratiche esibizionistiche), gli effetti di straniamento frutto di quel tanto di irregolarità sociale presente nella relazione mercenaria e nella sua evidenza.
Entrambe le ragazze hanno avuto il pudore di non chiedermi di offrire loro le spese che hanno fatto, piccole cose a ben vedere ma che, subito dopo una prestazione debitamente pagata, avrei trovato una richiesta sgradevole, mentre il contorno mi ha in vario modo divertito.
La prima volta si trattò soltanto di un banale incrocio di occhiate. Un inverno una delle zingare che battono in via Ripamonti, all'estrema periferia di Milano, voleva comprare l’alcool per accendere il fuoco e le salviettine umide. Era vestita in modo sobrio per quanto riguarda la copertura, ma con colori molto sgargianti, un gusto estetico comune alle ragazze con la sua provenienza. L’esotismo del volto, pure non bello, era poi percepibilissimo. Quindi allorché è scesa e chiudendo la portiera mi ha detto, ovviamente ad altissima voce, “torno subito amò”, ho sentito gli sguardi di una coppia attempata vicina cercare con severità nell’abitacolo il profilo dell’equivoco italiano o dello zingaro fuorilegge che l’accompagnava.
Poche sera fa la stessa richiesta è venuta dalla fidelizzata, altra zingarella, e ha generato un più ricco notturno, un affondo nelle sfumature della notte della città. Lei veste un top morbido nero a lustrini, che le scopre l’ombelico, e dei pantaloncini alle chiappe. Non indossa né reggiseno né mutandine, ma perlomeno l’intimo non si vede, mentre le pare di essere troppo scoperta per andare al supermercato. Noto che un analogo riguardo è stato liquidato con un sorriso allorché, poco prima, si è trattato di venire a casa mia per la prestazione: evidentemente gli spazi della domesticità che il sottoscritto condivide con i vicini (garage, ascensore e pianerottolo) non le ispirano la stessa deferenza dei templi capitalistici della grande distribuzione. Posso solo prestarle una mia maglietta intima grigia che si infila negli shorts. Lei però è alta 1,46 (!), io 1,80, dunque l’effetto è quasi comico e non posso non scattarle un paio di fotografie prima di uscire casa.
Io non avevo capito quale supermercato facesse l’orario continuato, la prima ubicazione che lei mi dà lo situa nella topografia del sesso mercenario (dove si mette quella ragazza grassa&hellip che, nonostante la mia precisa mappa mentale della città, non mi basta, e sbaglio strada. Quando poi arriviamo, riscontro che è la prima volta che lascio la macchina in quello stesso parcheggio come cliente del supermercato, in precedenza solo come cliente di prostitute appartato alla meno peggio. Di più, è dove ho consumato il mio esordio. Sono così promosso a cittadino per bene e anche se troppo differenze – di anni, di statura, di carnagione e di tratti somatici – ci indicano come una strana coppia, vedo che gli scambi di sguardi con il personale di servizio sono accompagnati dai saluti.
Lei peraltro aspetta che io parcheggi prima di entrare, stavolta quindi non attendo fuori, ma facciamo questo giro da coppietta. L’interno si cala in una di quelle atmosfere metropolitane cui il masochismo estetico che condivido con i miei contemporanei non può non attribuire una certa suggestione: una sorta di dietro le quinte del supermercato diurno, alla luce tagliente e bianca dei neon che all’una di notte sembra ancora più assurda e fastidiosa, che svela spietatamente lo sporco accumulatosi per terra durante la giornata, il disordine degli scaffali svuotati dalla compulsione consumistica, l’affaccendarsi del personale rado che rinnova gli allestimenti. Io, dietro, seguo la mia compagna che se la cava con sufficiente disinvoltura (personalmente non sarei stato neanche capace di pagare alla cassa automatica) e che, fra i corridoi, con dei sandaletti ai piedi che hanno sostituito le scarpe da adescamento, cerca svelta una confezione di “fagiolini cagnolini” (sic). Con la sua voce acuta e cantilenante, prima che io riesca a correggere la dicitura, la ragazza di strada trasformatasi in donna di casa in miniatura coinvolge nel reperimento di questa curiosa specie di verdura domestica un commesso più stralunato di noi.
Entrambe le ragazze hanno avuto il pudore di non chiedermi di offrire loro le spese che hanno fatto, piccole cose a ben vedere ma che, subito dopo una prestazione debitamente pagata, avrei trovato una richiesta sgradevole, mentre il contorno mi ha in vario modo divertito.
La prima volta si trattò soltanto di un banale incrocio di occhiate. Un inverno una delle zingare che battono in via Ripamonti, all'estrema periferia di Milano, voleva comprare l’alcool per accendere il fuoco e le salviettine umide. Era vestita in modo sobrio per quanto riguarda la copertura, ma con colori molto sgargianti, un gusto estetico comune alle ragazze con la sua provenienza. L’esotismo del volto, pure non bello, era poi percepibilissimo. Quindi allorché è scesa e chiudendo la portiera mi ha detto, ovviamente ad altissima voce, “torno subito amò”, ho sentito gli sguardi di una coppia attempata vicina cercare con severità nell’abitacolo il profilo dell’equivoco italiano o dello zingaro fuorilegge che l’accompagnava.
Poche sera fa la stessa richiesta è venuta dalla fidelizzata, altra zingarella, e ha generato un più ricco notturno, un affondo nelle sfumature della notte della città. Lei veste un top morbido nero a lustrini, che le scopre l’ombelico, e dei pantaloncini alle chiappe. Non indossa né reggiseno né mutandine, ma perlomeno l’intimo non si vede, mentre le pare di essere troppo scoperta per andare al supermercato. Noto che un analogo riguardo è stato liquidato con un sorriso allorché, poco prima, si è trattato di venire a casa mia per la prestazione: evidentemente gli spazi della domesticità che il sottoscritto condivide con i vicini (garage, ascensore e pianerottolo) non le ispirano la stessa deferenza dei templi capitalistici della grande distribuzione. Posso solo prestarle una mia maglietta intima grigia che si infila negli shorts. Lei però è alta 1,46 (!), io 1,80, dunque l’effetto è quasi comico e non posso non scattarle un paio di fotografie prima di uscire casa.
Io non avevo capito quale supermercato facesse l’orario continuato, la prima ubicazione che lei mi dà lo situa nella topografia del sesso mercenario (dove si mette quella ragazza grassa&hellip che, nonostante la mia precisa mappa mentale della città, non mi basta, e sbaglio strada. Quando poi arriviamo, riscontro che è la prima volta che lascio la macchina in quello stesso parcheggio come cliente del supermercato, in precedenza solo come cliente di prostitute appartato alla meno peggio. Di più, è dove ho consumato il mio esordio. Sono così promosso a cittadino per bene e anche se troppo differenze – di anni, di statura, di carnagione e di tratti somatici – ci indicano come una strana coppia, vedo che gli scambi di sguardi con il personale di servizio sono accompagnati dai saluti.
Lei peraltro aspetta che io parcheggi prima di entrare, stavolta quindi non attendo fuori, ma facciamo questo giro da coppietta. L’interno si cala in una di quelle atmosfere metropolitane cui il masochismo estetico che condivido con i miei contemporanei non può non attribuire una certa suggestione: una sorta di dietro le quinte del supermercato diurno, alla luce tagliente e bianca dei neon che all’una di notte sembra ancora più assurda e fastidiosa, che svela spietatamente lo sporco accumulatosi per terra durante la giornata, il disordine degli scaffali svuotati dalla compulsione consumistica, l’affaccendarsi del personale rado che rinnova gli allestimenti. Io, dietro, seguo la mia compagna che se la cava con sufficiente disinvoltura (personalmente non sarei stato neanche capace di pagare alla cassa automatica) e che, fra i corridoi, con dei sandaletti ai piedi che hanno sostituito le scarpe da adescamento, cerca svelta una confezione di “fagiolini cagnolini” (sic). Con la sua voce acuta e cantilenante, prima che io riesca a correggere la dicitura, la ragazza di strada trasformatasi in donna di casa in miniatura coinvolge nel reperimento di questa curiosa specie di verdura domestica un commesso più stralunato di noi.