A FAMILY DAY – L'OSSIMORO – IL GIANO BICEFALO
Una mattinata nel giocare dei bambini e l'effluvio del forno, contenitore della faraona ruspante della suocera.
Dopo il pranzo domenicale coi congiunti della moglie, qualcuno dice facciamo due passi, in quel poco di campagna fatta d'acqua stagnante e zanzare anche d'ottobre, nel borgotto periferico all'eclettica Milano.
Nel pomeriggio umido e accaldato, passeggiando in quelle viuzze sterrate, sento la zia che mi considera l'uomo di casa, la roccia su cui fare affidamento, consigliarmi l'acquisto di una villetta decaduta del quartiere, con un grande patio che da sulla torbiera, perchè siete giovani, e la famiglia forse crescerà, altri bambini.
Faccio un pisolo sul divano.
La notte s'avvicina e la cosa si svillupa e s'avviluppa nel mio ventre, con fremiti e scosse che uniscono il cuore all'uccello.
Moglie e bimbi interrompono la veglia, ammassati insieme nel lettone. E così nutrono la mia libertà.
È un rischio, un grosso rischio uscire adesso lasciando un biglietto sul comò, rischio di non sapere cosa rispondere al Dove Sei Stato Ieri Notte, alitato da un fiato sconvolgente di donna mattutina.
Però la cosa è già cresciuta e, solo perchè avviluppata nel mio stomaco, riesco a tenerla dentro e soffocargli la testa, ma freme, freme, freme.
Giro in auto a pesca. È come pescare in un laghetto sportivo, con le trote affamate che si buttano tutt'insieme sul boccone. Niente a che fare con la vera pesca. Ma io conosco bene la mia preda, bionda longilinea, culo parlante, lingua di seta sul mio uccello. Vado sicuro, attendo il turno nella penombra dello spiazzo, ogni tanto giro la chiave e faccio un giro, per non destare l'interesse dei vicini, dei puffacci e di Gargamella.
La cosa è dentro, freme, freme, freme. Mi fa godere tutto questo fremito, mi fa godere.
Poi mi abbandono nelle sue fauci, tra le sue gambe, sputo sulla sua figa glabra e la slabbro avidamente, lecco quel metro e ottanta di femminilità vampiresca, le mangio i piedi e li sbavo.
Le lecco la lingua.
Io la amo. Mentre la scarico al benzinaio, vorrei riaverla, subito. Ma non ho un altro cinquanta in tasca, e poi, lei, cosa penserebbe. Che la amo. Che forse è una buona idea chiedermi in prestito quei diecimila, per finire la casa, in Romania.
Tutto falso e sfasato, il soldo fa la differenza, è il peso, la misura. Pagherei per averla davvero, per averla solo io, per avere solo lei. Poi ci farei dei figli.
Poi lascerei ancora tutti soli, la notte, per andare da un'altra puttana.
Una mattinata nel giocare dei bambini e l'effluvio del forno, contenitore della faraona ruspante della suocera.
Dopo il pranzo domenicale coi congiunti della moglie, qualcuno dice facciamo due passi, in quel poco di campagna fatta d'acqua stagnante e zanzare anche d'ottobre, nel borgotto periferico all'eclettica Milano.
Nel pomeriggio umido e accaldato, passeggiando in quelle viuzze sterrate, sento la zia che mi considera l'uomo di casa, la roccia su cui fare affidamento, consigliarmi l'acquisto di una villetta decaduta del quartiere, con un grande patio che da sulla torbiera, perchè siete giovani, e la famiglia forse crescerà, altri bambini.
Faccio un pisolo sul divano.
La notte s'avvicina e la cosa si svillupa e s'avviluppa nel mio ventre, con fremiti e scosse che uniscono il cuore all'uccello.
Moglie e bimbi interrompono la veglia, ammassati insieme nel lettone. E così nutrono la mia libertà.
È un rischio, un grosso rischio uscire adesso lasciando un biglietto sul comò, rischio di non sapere cosa rispondere al Dove Sei Stato Ieri Notte, alitato da un fiato sconvolgente di donna mattutina.
Però la cosa è già cresciuta e, solo perchè avviluppata nel mio stomaco, riesco a tenerla dentro e soffocargli la testa, ma freme, freme, freme.
Giro in auto a pesca. È come pescare in un laghetto sportivo, con le trote affamate che si buttano tutt'insieme sul boccone. Niente a che fare con la vera pesca. Ma io conosco bene la mia preda, bionda longilinea, culo parlante, lingua di seta sul mio uccello. Vado sicuro, attendo il turno nella penombra dello spiazzo, ogni tanto giro la chiave e faccio un giro, per non destare l'interesse dei vicini, dei puffacci e di Gargamella.
La cosa è dentro, freme, freme, freme. Mi fa godere tutto questo fremito, mi fa godere.
Poi mi abbandono nelle sue fauci, tra le sue gambe, sputo sulla sua figa glabra e la slabbro avidamente, lecco quel metro e ottanta di femminilità vampiresca, le mangio i piedi e li sbavo.
Le lecco la lingua.
Io la amo. Mentre la scarico al benzinaio, vorrei riaverla, subito. Ma non ho un altro cinquanta in tasca, e poi, lei, cosa penserebbe. Che la amo. Che forse è una buona idea chiedermi in prestito quei diecimila, per finire la casa, in Romania.
Tutto falso e sfasato, il soldo fa la differenza, è il peso, la misura. Pagherei per averla davvero, per averla solo io, per avere solo lei. Poi ci farei dei figli.
Poi lascerei ancora tutti soli, la notte, per andare da un'altra puttana.