Bravi Fijoj..... Iersera, dopo una riunione fiume, siamo stati "portati" a mangiare cena, in un locale incantevole, pregevole, mangevole e ben paghevole... per fortuna ero ospite... altrimenti, altro chè la banda del ventello... fosse stato Cala, avrebbe tossito ben 3/4 VU!!!!!

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Cucina Francese/Tagliana ed Internazionale... vini solo Tagliani... per una mia imposizione culturale... il collega (lui dice) someiller è rimasto di m...!!!
Vabbè ma, poi nel discorrere è venuto fuori l'argomento delle divise ecc... Allora ho pensato di rispolverare l'articolo che scrissi qualche tempo fa, in sinergia con un collega piceur, gran cuoco di origine e scuola Francese, proprio sull'argomento di cui trattasi, che... qui siamo in piola.. ne possiamo anche parlare, fra un bicchiere della staffa e l'altro, al fine di far avvicinare la staffa stessa al terreno, di modo da poter salire meglio sul cavallo... di Luky lo Shceriffo amiko del killer... questa me la dovete poi spiegare!!!
Comunque: questo è: se vi pare: alla "Ravanello/Ramulas... 3 sold al mass""!!!

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IL CUOCO E LA SUA DIVISA
Quella del cuoco è una delle rare professioni che si è sempre distinta per avere una divisa propria.
Ciò per ragioni del tutto pratiche, perché passare lunghe ore della giornata in cucina, a contatto con gli alimenti, da sempre ha richiesto un abito di colore bianco che s’insudicia ma anche che si lava con maggiore facilità.
Inoltre un copricapo per proteggere i capelli dal grasso e dal fumo di caldaie e padelle, impedendo ai capelli stessi di andare a “condire” gli alimenti in preparazione.
Tale copricapo serve altresì per difendersi dal calore soffocante dei locali di un tempo, sprovvisti di sufficiente ricambio d'aria, per limitare la sudorazione. Questo copricapo cari lettori è quello che i francesi chiamano la “toque”.
Anche il cappello del cuoco è destinato, nel corso dei secoli, a seguire le mode, sempre mutevoli.
Segno distintivo di una professione certo non nobile ma in ogni modo da sempre apprezzata e riconosciuta, distingue un grado gerarchico più o meno elevato dell'organigramma che regola i vari ruoli in cucina, dal capocuoco allo sguattero passando per l'aiutante e l'apprendista.
All'inizio del Cinquecento, negli anni in cui risalgono le prime rappresentazioni d’interni domestici, il cuoco indossa una berretta, una specie di basco piegato sul lato.
Come possiamo vedere dall'antiporta dell'Opera nova chiamata Epulario (151

questo copricapo è comune ai tre personaggi al centro mentre l'inserviente di destra che mescola la minestra e quello di sinistra che squarta un'oca portano un semplice fazzoletto.
Si noti per contro sulla sinistra il capocuoco, con un cappello a larga tesa, che porta in cucina una lepre da cucinare.
Lo stesso cappello si nota nell'illustrazione che orna il ricettario di Cristoforo di Messisbugo (1549), con il capocuoco che esibisce i segni distintivi del suo ruolo, ornato da alcune piume.
Parimenti nell’Opera di Bartolomeo Scappi (1570), ogni lavorante ha il suo distintivo copricapo. Un secolo più tardi, nel 1700, poco sembra mutato nell'abbigliamento del cuoco.
La veste si presenta più corta, il coltello appeso alla cintura portato nel suo fodero e il berretto, ora floscio e senza tesa e, nel secolo seguente, terminante a punta con un grande pompon, portato su un lato, come le cuffie da notte che servivano a proteggersi dal freddo durante le rigide notti invernali.
E' soltanto all'inizio dell'Ottocento che la moda cambia radicalmente. Il merito è da ascrivere, ancora una volta, alle fantasia e al genio di Antonin Carême che, oltre a dedicarsi alla pasticceria monumentale, definita “la quinta arte”, si improvvisa disegnatore di successo.
Di cappelli da cuoco ne disegna due: il tradizionale, che termina in punta mentre il nuovo, porta inserito all'interno un disco di cartone di forma rotonda o ottagonale che conferisce maggiore ampiezza alla parte terminale che si fa scivolare all'indietro, in posizione verticale, ornata da un piccolo fiocco, quasi un'aureola profana che cinge il capo.
Da quegli anni è tutto un moltiplicarsi di variazioni. Siamo nel 1800, Antonin Carême muore a 48 anni nel 1833, la sua proposta venne adattata, in seguito modificata, non più una cuffia cadente.
Alla metà del Novecento il cappello ha assunto una nuova configurazione perfettamente cilindrica, sorretto dalle numerose pieghe e reso consistente da un'abbondante “apprettatura” che gli permette di innalzarsi fino a 40 centimetri.
Negli anni Settanta diventa in breve il vessillo della “Nouvelle cuisine” e lo vediamo portato da Paul Bocuse, vate del nuovo credo culinario, come da tutta la generazione di cuochi che ha infiammato quegli anni ruggenti.
Recentemente il cotone è stato sostituito dalla carta assorbente o dal tessuto non tessuto, materiale “usa e getta” più pratico, economico e igienico e l'altezza si è ridotta a 30-35 centimetri (25 per i pasticceri) con rare eccezioni, localizzate soprattutto al sud della penisola.
Oggi una nuova generazione di cuochi, con atteggiamento provocatorio, rifiuta di portare il cappello.
Divismo televisivo o trasgressione voluta ed esibita per imporre la propria immagine a un pubblico sempre più attento al tema gastronomico?
Se il pubblico della new economy ha ormai abdicato alla cravatta e affolla i ristoranti di grido esibendo una totale deregulation vestendo casual perché obbligare il cuoco a conservare una divisa scomoda e anacronistica? La forma è sostanza, sempre!!!